MIchele Scarponi se ne infischiava di sole, pioggia o vento. Quale che fosse il tempo meteorologico, non importava. Era in forma, si sentiva in forma, aveva appena vinto una tappa al “Tour of the Alps” in Trentino che al tramonto della carriera gli aveva fatto assaporare il gusto della vittoria, come il fondo del bicchiere. E così anche quella maledetta mattina suona la sveglia di casa Scarponi, saluta la moglie Anna e i due gemelli di cinque anni ed esce dalla sua casa in quel di Filottrano, un paesino nel cuore delle Marche. Ed era solo Michele, lui, la bici e la maglia tecnica che era solito indossare durante gli allenamenti. Quelle strade le conosceva bene. Erano le sue strade, che ha percorso mille volte. Un furgone non lo ha visto, in sella alla sua bici da gara, colpendolo in pieno e causandone la morte sul colpo.
Tutti dicono che era un uomo onesto e semplice, una rarità in uno sport come il suo, in cui tutto quello che conta è la prestazione. Per Michele no, perché “l’aquila di Filottrano” (così veniva chiamato per la sua grande abilità di scalatore), era capace di far vincere i suoi compagni rinunciando a possibili gioie. Un campione ineguagliabile, un fuoriclasse con l'umiltà (rara) del gregario. E questo lo rende ancora più unico nel panorama sportivo. La gloria per lui era anche mettersi al servizio dei più giovani. Come quella volta che il ciclista jesino poteva vincere una tappa ma ha aspettato il capitano Vincenzo Nibali (che poi quel giorno vinse).
Era così Scarponi, uno che, forse, non sarà ricordato per le sue vittorie, ma indubbiamente per il grande altruismo che mostrava in ogni occasione. Certo, imprese sportivamente rilevanti ne ha compiute. E che imprese: ha vinto il “Giro d’Italia” nel 2011 (per la squalifica per doping di Contador, che impegnò in un duello, sull'Etna, degno di Coppi e Bartali), e nel 2009 portò a casa la Tirreno Adriatico. Dunque, dal punto di vista sportivo non si poteva certo definire un Pantani, ma sicuramente aveva grandissime doti da scalatore (che ha messo in mostra recentemente al “Tour of the Alps”). Era un loperaio della biciicletta semplice ed umile, che sapeva anche scherzare ed essere ironico quanto bastava.
Un bell’esempio per tutti, un marito e un padre premuroso per la sua giovane moglie Anna e per i figli, che avranno tanto dolore ma anche ricordi indimenticabili del loro papà, sportivo e non solo. È una bella famiglia quella di Michele, in cui alleggia un’atmosfera di gioia e serenità. Amanti degli animali, posseggono un cane di nome Lamù e il noto pappagallo Frankje, noto in tutta la valle perché Michele in allenamento se lo portava sulla spalla mentre era in sella. Sicuramente al Giro d’Italia di quest’anno, con l’infortunio di Fabio Aru, Scarponi sarebbe stato il capitano del suo team, “l’Astana”, e avrebbe potuto mostrare a tutti di che pasta fosse fatto nonostante la veneranda età (agonisticamente parlando). Il ciclismo piange il migliore di tutti per umiltà, talento e grinta.