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martedì 15 ottobre 2024
 
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«Scelte morali per battere la ‘ndrangheta»

14/06/2015  Centinaia di giovani a Trento, durante il X Festival dell'Economia di Trento, sono accorsi ad ascoltare padre Giovanni Ladiana, superiore dei Gesuiti di Reggio Calabria: «La 'ndrangheta offre un'illusione di crescita. E per batterla, prima ancora dello Stato, bisogna farsi guidare dalla propria coscienza».

In assenza dello Stato e di alternative morali forti, le organizzazioni criminali riescono a imporre il proprio potere e diventano, agli occhi di molti giovani, l'unica speranza di “miglioramento” della propria condizione sociale.

All'interno del X festival dell'Economia organizzato a Trento dalla Provincia Autonoma e dedicato ai vantaggi della mobilità sociale, c'è anche una finestra sulle prospettive di futuro offerte dalle mafie. Un aspetto decisamente poco analizzato, quando si parla dell'esigenza di garantire pari opportunità ai giovani, indipendentemente dalle loro condizioni di partenza. Eppure, in alcuni territori, la speranza di crescita offerta dalla criminalità appare l'unica soluzione.

«E quella speranza non sembra perdere mordente anche se è ormai evidente che per i ragazzi usati dalla 'ndrangheta come manovalanza non c'è nessuna possibilità di diventare boss. Finiscono ammazzati o in carcere». La riflessione è di Giovanni Ladiana, superiore dei Gesuiti di Reggio Calabria, ex bracciante e muratore, tra gli animatori di Reggio Non Tace, l’associazione di cittadini nata nel 2010 per lottare contro l’oppressione della ‘ndrangheta e contro le sue molteplici complicità, coperture e connivenze.

Un prete di strada che si è messo in gioco, in prima persona, con tutti i rischi che comporta, nella Calabria dell’ignavia e della paura, saccheggiata dalle cosche e dalla corruzione. Per Laterza è autore di “Anche se tutti, io no. La Chiesa e l’impegno per la giustizia” (2015). Un titolo simbolico. Perché, per padre Ladiana, tutto parte da una scelta personale. Che tutti siamo tenuti a fare.

In questa e nella foto di copertina il padre gesuita Giovanni Ladiana, durante il suo intervento alla X edizione del Festival dell'Economia di Trento.
In questa e nella foto di copertina il padre gesuita Giovanni Ladiana, durante il suo intervento alla X edizione del Festival dell'Economia di Trento.

- Padre Ladiana, i tanti ragazzi trentini accorsi per ascoltare la sua testimonianza l'hanno applaudita a lungo. Le sue sono state indubbiamente parole forti. Quale scelta va fatta?

«Dobbiamo dire ai giovani che i nemici esistono. Sembra strano che un prete parli così. Ma Gesù non dice mai che non esistono i nemici. Se c'è un assassino e un assassinato, non si può rimanere equidistanti. Se raccogliamo le lacrime di chi sta piangendo, dobbiamo diventare nemici di chi l'ha fatto piangere. È ora di scegliere. È ora di decidere da che parte stare».

- Nelle parti d'Italia dove la morsa dei criminali è più forte, accrescere la mobilità sociale è una questione di categorie morali?

«Ovviamente non è solo questo. Ma spesso si pone l'accento su altro e si sottovaluta il percorso interiore che dobbiamo fare».

- E anche gli insegnamenti familiari non aiutano a fare scelte chiare...

«La mancanza di testimonianza familiare è dovuta a una crisi della famiglia che a sua volta è effetto di una deriva narcisistica che colpisce gli adulti: ci si concentra su sé stessi. E se lo fanno gli adulti,  i giovani si adeguano».

- Perché si continua a dar credito alle promesse della criminalità?

«Una volta, i boss della 'ndrangheta offrivano ai giovani un modello di ascesa sociale fondato sulle prospettive di guadagno facile. Ora il crimine ha spostato i suoi affari nella finanza, negli appalti al Nord e all'estero, nei paradisi fiscali. Non c'è più un modello vincente al quale aspirare per i ragazzi. Non c'è più nessuna componente epica nella scelta di chi accetta di essere piccola manovalanza per la criminalità. È semplicemente l'unica via che i ragazzi vedono, per avere qualche soldo in tasca».

- Eppure ce ne sono altri che, nati e cresciuti nello stesso contesto sociale, rifiutano quella realtà. Come ci riescono?

«Hanno semplicemente ascoltato la propria coscienza e l'hanno anteposta ad altri interessi, magari economici. Loro sono i veri adulti. Tanti sono partiti e poi hanno deciso di tornare. E con loro riusciamo a costruire iniziative sane e positive. Cerchiamo di rivelare verità scomode, che la 'ndrangheta non vuole far emergere. Reggio Calabria è ad esempio la città con il più alto tasso di povertà assoluta e tuttavia naviga in un mare di denaro. Il controllo esercitato dalla “casa madre” di Reggio sulle attività che la 'ndrangheta gestisce nel mondo è ferreo. Il volume d’affari è di 140 miliardi, di cui 43-44 vengono riciclati nell'economia pulita».

- Istruire per scardinare la solidità criminale...

«La scuola può fare molto se non fornisce solo nozioni agli studenti ma avendo cura di preoccuparsi della crescita dei ragazzi per farli diventare adulti. Adulto – lo ribadisco – è chi ha il coraggio di fare le scelte».

- Dove vede segni di speranza per cambiare l'ordine delle cose?

«Alcuni segni, da parte di chi ha scelto di non girarsi dall'altra parte, hanno creato iniziative importanti: la Mag delle Calabrie, un tentativo limpido di fondare un'economia alternativa. E poi i consorzi etici, in agricoltura ma non solo».

- Costruire un'altra economia per lei è essenziale.

«Non se ne esce senza un rifiuto della finanza speculativa e l'avvio di un percorso fondato sul giusto salario, sul reddito minimo di cittadinanza, connesso con progetti di intervento pubblico in settori vitali, come sanità, ambiente, servizi sociali».

- E la Chiesa? Fa quello che dovrebbe? Arrivano i messaggi chiari necessari?

«La Chiesa calabrese ha preso spunto dal caso di Oppido Mamertina (quando nel luglio 2014 la processione deviò per far inchinare la statua della Madonna davanti alla casa di Giuseppe Mazzagatti, vecchio capo clan di 82 anni, già condannato all'ergastolo per omicidio, ndr) per produrre documenti che non sono stati mai così chiari. Chi s'inchina alla mafia è fuori dalla Chiesa. Da quel momento però stiamo aspettando il documento pastorale che traduca concretamente quei moniti. Di documenti importanti emessi dalla Chiesa ce ne sono stati molti da parecchio tempo. Ora servono scelte operative: che cosa fare con le confessioni? Quali istruzioni si devono dare al clero nei corsi di formazione? Come si aiutano i preti che nei piccoli centri sono praticamente isolati? Quelle indicazioni servono per isolare i criminali e chi li spalleggia».

 
 
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