Mustafà
Ahmadi Roshani, lo scienziato iraniano che lavorava presso il
centro di arricchimento dell'uranio di Natanz e che è stato fatto
saltare nel centro di Teheran con una bomba magnetica applicata alla sua
auto, è solo la vittima più recente di una guerra non dichiarata ma
aperta ormai da anni.
Ecco
qualche altra vittima del conflitto-ombra.
Majid Shahriari, docente
presso l'Università di Teheran e studioso delle reazioni a catena,
ucciso allo stesso modo di Roshani (la bomba attaccata all'auto da una
moto che passa in piena corsa) il 20 novembre del 2010.
Fereydoun
Abbasi, direttore dell'Agenzia iraniana per l'Energia Atomica,
gravemente ferito insieme con la moglie, nello stesso novembre 2010, da
una bomba fatta esplodere a distanza.
Daryoush Rezai,
fisico, ucciso a colpi di pistola nel luglio 2010.
Massoud Alì
Mohammadi, fisico delle particelle elementari, ucciso nel
gennaio 2010 dalla solita bomba.
Una
strategia di "omicidi mirati" che ha, ovviamente, le sue
vittime collaterali e che l'Iran attribuisce, naturalmente, alla triade
Israele-Usa-Gran Bretagna. E' probabile che non sbagli, ma quel che più
conta, per i Paesi non direttamente coinvolti, sono le lezioni per il
prossimo futuro che da questa serie di omicidi eccellenti possono essere
tratte. Proviamo a elencarne alcune.
1.
anche in un Paese retto da un regime autoritario come l'Iran,
"scienziato" o "fisico" non necessariamente equivale a guerrafondaio. Ci
sono buone testimonianze del fatto che sia Mohammadi sia Shahriari
erano degli studiosi, dei teorici, non certo dei tecnici impegnati nella
costruzione della bomba. Questo vuol dire che i servizi segreti che
hanno organizzato gli attentati non mirano tanto a fermare gli
esperimenti nucleari dell'Iran, ma piuttosto a terrorizzare una comunità
scientifica ristretta.
2.
a dispetto della polizia segreta, dei miliziani, dei pasdaran e
dello stretto controllo sociale, l'Iran si dimostra permeabile allo
spionaggio estero. Ma non solo: una così lunga serie di colpi non
potrebbe andare a segno senza consistenti ed efficienti appoggi interni.
Il che dimostra che il dissenso politico può anche essere soffocato con
la violenza, com'è successo con le proteste dopo la rielezione-truffa
di Mahmud Ahmadinejad, ma lo scontento resiste e da
qualche parte, in qualche modo, si trasforma in azione.
3. Perché i Paesi occidentali ricorrono a questo stillicidio
di attentati? Perché, evidentemente, gli altri strumenti sono
ritenuti inadatti. L'embargo? E' difficile da applicare, serve a poco e
può tramutarsi in un boomerang. All'Italia, già riottosa di suo (l'Iran è
uno dei nostri principali fornitori di petrolio), Teheran ha fatto
sapere che, in caso di embargo anche petrolifero, non verserà i 2
miliardi di euro che deve all'Eni per una serie di lavori. La
cosiddetta "opzione militare"? Da anni viene sventolata come la minaccia
definitiva ma il ricordo del macello in Iraq è troppo fresco per
prenderla sul serio. La reazione dell'Iran, inoltre, sarebbe molto più
preoccupante delle minacce a vuoto di Saddam Hussein, soprattutto per i
Paesi petroliferi del Golfo da sempre alleati degli Usa. Paesi che, non a
caso, stanno comprando armi dagli Usa a tutta forza.
4.
La strage degli scienziati, infine, potrebbe avere anche un senso
politico. La questione nucleare, e di conseguenza il rapporto
con l'Occidente, è un cavallo di battaglia del Presidente, dei suoi
sostenitori e degli ambienti militari. Ahmadinejad vi fa riferimento
ogni volta che può, l'ultima durante l'incontro con il presidente
venezuelano Chavez, pochi giorni fa. Il programma atomico pesa dunque
anche nei rapporti interni al regime e influisce sui complessi
equilibrii del potere iraniano. Ma in che senso?
E' chiaro a tutti che gli Usa non permetteranno mai che la bomba sia
costruita in un Paese che minaccia Israele di distruzione e
che, fattore meno "nobile" ma decisivo, al riparo dell'ombrello atomico
potrebbe dettar legge sul Golfo, dove ancora transita il 30% del
petrolio commerciato ogni giorno nel mondo. Lo sappiamo noi, lo sanno
gli iraniani. Ci dev'essere, dunque, da qualche parte, una classe
dirigenziale iraniana che non crede in questa deriva ma non può farsi
sentire. La decimazione degli scienziati può anche essere un segnale: ai
nuclearisti, perché capiscano che non ce la faranno mai; e agli
antinuclearisti, perché sappiano che prima o poi verrà il loro momento.
5.
all'offensiva degli attentati l'Iran non riesce a reagire se
non alzando la voce e incrementando il numero delle provocazioni:
bloccheremo lo stretto di Hormuz, avremo i missili, costruiremo un nuovo
laboratorio per arricchire l'uranio... Un'impotenza di fondo che la
dice lunga sulla reale capacità "offensiva" degli ayatollah.
Da non
trascurare, infine, l'oggettiva difficoltà a decifrare i processi
politici del regime di Teheran. E'chiaro che il tema nucleare, e quindi
quello delle relazioni con l'Occidente, è usato nei rapporti di forza
interni. Ma chi prevale? E a qual fine?
Costruire la bomba, ben sapendo
che gli Usa non lo permetteranno mai a un regime che minaccia di
distruggere Israele e che, con l'arma nucleare, diventerebbe il
controllore delle vie mediorientali del petrolio? Le continue
provocazioni (bloccheremo lo stretto di Hormuz, costruiremo un nuovo
impianto per arricchire l'uranio, queste le ultime) aumentano la
confusione: anche Saddam Hussein provò fino all'ultimo a far leva su
armi letali che non possedeva.
Per
tutte queste ragioni è probabile che la decimazione degli scienziati
continui. E che la mancata reazione dell'Iran, nel frattempo, riveli le
debolezze che il regime cerca di nascondere alzando la voce.