«Non penso che la maggioranza degli albergatori intenda speculare sull’accoglienza ai migranti. Però bisogna uscire dalla logica dell’emergenza e capire che se non offriamo una visione politica globale del problema si corrono molti rischi. Ben più grave, ad esempio, è il problema degli scafisti». Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, commenta così la legge della regione Lombardia che ha deciso di penalizzare gli albergatori lombardi che negli ultimi tre anni abbiano sottoscritto convenzioni per ospitare immigrati escludendoli dai fondi regionali e dalla partecipazione ai bandi della regione. L’occasione è stata la presentazione della lettera pastorale del Cardinale, Educarsi al pensiero di Cristo, che si è svolta giovedì pomeriggio nell’auditorium di Assolombarda a Milano. «Noi come Chiesa facciamo il buon samaritano attraverso la prima accoglienza», ha spiegato il cardinale, «tocca all'Europa svegliarsi e fare un progetto organico, l'immigrazione non è un’emergenza ma un fenomeno strutturale che andrà avanti per altri dieci anni, se non di più, e va governato. Le parrocchie della Diocesi di Milano stanno rispondendo bene per accogliere queste persone». Il tema del dibattito provocato dalla lettera pastorale è come coniugare fede e vita concreta nella città plurale che è Milano. Alla presenza dell’Arcivescovo di Milano sono intervenuti Gianfelice Rocca (presidente di Assolombarda e del Gruppo Techint), suor Claudia Biondi (coordinatrice per Caritas Ambrosiana del settore Aree di bisogno), Andrea Tornielli (giornalista e scrittore, vaticanista de La Stampa), don Giorgio Riva (parroco di Sant’Eustorgio a Milano), Laura Invernizzi (ausiliaria diocesana, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e l’Università Cattolica) e Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire e scrittore.
«Cultura», spiega subito Scola, «non sono i libri ma l’esperienza concreta di ognuno di noi. Tutti stasera si sono coinvolti, non si può educare senza essere coinvolti, l’educazione è un processo. La libertà è un dato irrinunciabile ma se non è declinata nella realtà è sterile e si narcisizza, e l'uomo diventa come un saltatore in alto che rimane sospeso a mezz'aria». Poi ha aggiunto: «La dimensione culturale della fede ha a che fare con la dimensione della vita, ecco perché nella lettera ho fatto riferimento alla famiglia, la scuola, la liturgia. Maritain diceva che ogni sapere intellettuale è un sapere di secondo grado perché prima c’è l’esperienza». Infine, ha spiegato: «L'individualismo di oggi è una forma di narcisismo, una malattia che riguarda tutti, e l'unico antidoto è proprio la liturgia, un fatto che irrompe e interrompe il ripiegamento su noi stessi che occupa tanto tempo della nostra vita quotidiana. Mi auguro che gli abitanti della Diocesi di Milano che per l'80 per cento sono battezzati la riscoprano. La liturgia prima ancora che i santi Ambrogio e Carlo rappresenta la specificità della chiesa ambrosiana».
Infine un pensiero sulla famiglia anche in vista del Sinodo straordinario di ottobre in Vaticano: «Se non si punta sulla famiglia il cristianesimo si disimpara. La famiglia deve diventare soggetto di questa comunicazione di vita perché essa è il luogo dove il culto e la fede si fanno vita incarnata, concreta. La famiglia non deve essere solo oggetto di cura da parte dei pastori ma deve essere un soggetto di evangelizzazione. Tutte le famiglie anche quelle ferite e in difficoltà. Se questo non succede il cristianesimo rischia di perdere la sua sostanza. Accogliendo i seminaristi in Duomo, ad esempio, molti di loro mi hanno detto che la loro vocazione è maturata grazie ai nonni».
Prima dell’intervento conclusivo di Scola, che ha risposto alle domande di Alessandro Zaccuri, i relatori hanno approfondito, ognuno, un aspetto della Lettera pastorale. «Confesso che all'inizio», ha detto Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, «ho avuto il dubbio che fosse una lettera per credenti ai credenti. Poi l'ho riletta in forma diversa e ho trovato tanti punti di convergenza. Il Cardinale parla di cultura come mentalità. Ed è lo stesso atteggiamento di noi imprenditori: noi non abbiamo risposte preordinate ai problemi complessi ma impariamo facendo, partendo da casi concreti, dalle testimonianze, per usare invece le parole del Cardinale. La lettera è una grande lezione di realismo che ci insegna a camminare insieme nella stessa direzione». Parlando dell'esperienza di Caritas nei campi Rom Suor Claudia Biondi, coordinatrice per Caritas Ambrosiana del settore Aree di bisogno, ha sottolineato: «Spesso ci accusano di essere buonisti, quello che facciamo è invece il modo con cui diciamo che, proprio perché crediamo in un solo Padre, esiste una sola famiglia di figli cui tutti apparteniamo, comprese le famiglie di Rom che vivono nei campi abusivi e hanno una roggia per lavarsi, persone che il 62 per cento degli italiani non vorrebbe come vicini di casa». Don Giorgio Riva, attingendo alla sua esperienza di parroco di Sant’Eustorgio a Milano, ha sottolineato che la lettera individua due esigenze fortissime che anche lui riscontra visitando le famiglie della sua parrocchia: «Il bisogno di una speranza che vada oltre la pur necessaria pagnotta che bisogna pure portare a casa e la necessità di uscire dall'isolamento».