La maggior parte di loro rimangono volti anonimi, numeri che vanno a ingrossare le statistiche sempre più nere e che ci parlano di quasi 4.000 morti solo nel 2016 nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. E poi ci sono i casi particolari, di cui veniamo a conoscere le storie e che rimarranno sempre scolpiti nella nostra mente. Come quello di Fatim Jawara, 19 anni, che è partita dal Gambia, il terzo paese con il maggior numero di profughi, e che dopo essersi imbarcata in Libia è scomparsa in uno degli ennesimi naufragi. Era il portiere della nazionale di calcio ed era brava. In una delle sue ultime partite, un’amichevole contro le ragazze scozzesi di Glasgow, aveva parato un rigore.
Fatim era nata in un villaggio e si era poi trasferita nella capitale,
Banjul. Sin da ragazzina si era distinta nel ruolo di portiere e bel
2012, quando aveva 15 anni, aveva partecipato con il team under 17 alla
Coppa del Mondo in Azerbaigian. Una bella ragazza, che aveva
frequentato la scuola superiore, si truccava nel tempo libero, amaba vestirsi alla moda, ma era
orgogliosa della maglia rossa della nazionale, tanto da scegliere di
indossarla nella copertina della sua pagina facebook. Il suo ultimo
post il 18 luglio, con le foto del matrimonio di un fratello. Poi la
decisione di partire, nel cuore un grande sogno, in nome del quale ha
ignorato i pericoli in cui andava incontro. Continuare a giocare a
calcio in un club europeo, lo sport nel suo paese gli stava stretto,
troppo difficile la situazione, con un governo autoritario che viola i
diritti umani e tortura degli oppositori come è scritto nell’ultimo
rapporto di Human Rights Watch . «La ricorderemo per le sue grandi
performance sul campo», dice l’allenatore di allora, Chorro Mbenga.
«Abbiamo perso una atleta con molto talento» aggiunge la coordinatrice
della nazionale femminile del Gambia, Siney Sissoko. «competitiva,
sempre determinata a spingere verso la vittoria la sua squadra, molto
gioviale e aperta».
La sua storia ci ricorda tantissimo quella della
velocista somala Samia Yusuf Omar, che dopo aver partecipato alle
Olimpiadi di Pechino nel 2008 classificandosi ultima nella sua batteria
ma commovendo il mondo, poiché nel suo paese la situazione politica non
le permetteva di continuare ad allenarsi, decise di partire per un
viaggio della speranza con il sogno di partecipare alle Olimpiadi di
Londra 2012. Ma i suoi sogni e la sua vita si infransero in quel
cimitero a cielo aperto che è il Mediterraneo. La sua storia è stata
raccontata nel bel libro di Giuseppe Catozzella Non dirmi che hai paura
(Feltrinelli). Samia come Farim, due volti, due storie, simbolo di tutti
quelli che sperano in una vita migliore, ma trovano solo la morte.