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Si scrive Libano, si legge Siria

29/05/2011  Una chiave di lettura dell'attentato contro i caschi blu italiani evoca il ruolo di Damasco: il regime, sempre più vacillante, sembra aver voluto mandare così un messaggio al mondo.

In Siria infuriava l'undicesimo venerdì di protesta contro il regime di Bashar al-Assad quando ha avuto luogo l'attentato contro i soldati dell'Unifil, il primo dal 2008. Gli undici venerdì di mobilitazione siriana per la libertà e la dignità hanno comportato prezzi molto alti: per i siriani (1.100 manifestanti uccisi, 16.000 arrestati, 400 scomparsi, 4.000 feriti), per il regime di Damasco (la cui mancanza di prospettive appare evidente proprio per la sua brutalità), e per il suo principale alleato, Hezbollah, che dopo aver offerto ogni collaborazione alla repressione in Siria ha cercato di imporre la repressione anche in Libano, per evitare che il Paese dei cedri divenga un rifugio per i dissidenti.



Perché? Perché senza Damasco il partito di Hassan Nasrallah perde l'insostituibile via di approvvigionamento. Il travagliato ma mai ucciso Libano delle libertà e della convivenza, che Giovanni Paolo II definì un messaggio, ha esportato il suo "messaggio" politico in Siria: il regime siriano ora tenta di ri-esportare il suo messaggio in LIbano: la forza delle armi contro la forza delle idee. In questo scontro Hezbollah ha già perso, ha perso l'egemonia culturale sui popoli arabi, dimostrandosi forza di oppressione e non di liberazione. Ora teme di perdere anche sul territorio: ulteriori sanzioni contro il regime di Damasco potrebbero risultare davvero esiziali. Per questo l'attentato contro l'Unifil appare un avvertimento in tempo reale al G8. A chi poi sia stata subappaltata l'esecuzione dell'attentato appare scarsamente rilevante.

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