È possibile non avere voglia di studiare e basta, senza motivi profondi, ma solo per superficialità? Nostro figlio in prima superiore non ha particolari problemi, eppure ha 7 materie sotto a fine aprile. Siamo stati convocati dai professori. Non hanno voti perché non consegna i lavori. Va benissimo solo in alcune materie, come Inglese e Laboratorio, perché gli piacciono. In altre è un disastro. Tra videogiochi e ragazzina, non è proprio concentrato.
CLAUDIO E ORIETTA
— Si avvicina la fine dell’anno scolastico e si innalza una tensione già di per sé abbastanza alta. Gli studenti italiani, nel confronto con i loro coetanei di altre parti del mondo, hanno il poco invidiabile primato dell’ansia di fronte alla scuola: ce lo dice il rapporto internazionale Ocse-Pisa sul benessere a scuola, pubblicato nel mese di aprile. Sono ormai parecchi anni che questo prezioso strumento di rilevazione internazionale ci dà informazioni sullo stato di salute della preparazione scolastica dei nostri ragazzi. Ora ci dice qualcosa di più sul loro modo di affrontare gli impegni di studio. I commentatori sui giornali si sono soffermati sulle cause di questo alto livello di preoccupazione, attribuendole perlopiù agli adulti, genitori e insegnanti. Vorrei invece osservare un altro aspetto: di fronte all’ansia, i nostri ragazzi tendono a difendersi con la fuga e quindi il disimpegno. Non accettano la lotta e la competizione sana, quella con sé stessi. Forse principalmente per una carenza di pensiero. Cioè per una difficoltà a riconoscere dentro di sé e render oggetto di consapevolezza la fatica di studiare. I genitori non possono accettare frasi come «non ne ho voglia» o «non ce la faccio». Che cosa vogliono dire quel “ne” o quel “ce la”? Di che cosa non si ha voglia: di una materia, di un professore, di un’attività? In che cosa non si riesce? Scendiamo nei particolari per evitare scappatoie facili e generiche. Proviamo a capire bene, come genitori, che cosa succede nella testa del ragazzo che deve mettersi a studiare al pomeriggio o alla sera. Ad analizzare, se docenti, l’andamento delle verifiche e le difficoltà evidenziate in modo più approfondito. A smontare e rimontare il meccanismo dello studio, capendo quando si richiedono conoscenze automatizzate, come in certi contenuti della matematica (a partire dalle tabelline) o dell’inglese. Oppure quando occorre acquisire competenze più complesse, come nella redazione di un testo o nella dimostrazione di un teorema. Per ricuperare la capacità mentale di imparare occorre sviluppare quella di pensare. Come dice Pennac allo studente che accusa i prof di farlo uscire di testa: “Ti sbagli. Dalla testa ci sei già uscito. I professori cercano di farti tornare”.