Dividersi sulla scuola ci sta: è un tema che coinvolge di fatto tutti, perfino chi non ha figli, perché alla scuola è comunque legato il futuro del paese, dunque anche il loro. Ma il punto è che la scuola è anche un bacino d’utenza politico: tra insegnanti e personale amministrativo conta oltre un milione di persone, con anime variegate.
Eccola dunque la prima questione: fino a che punto sull’idea del premier Matteo Renzi di “ritirare” la riforma sulla buona scuola dalle urgenze della politica incidono considerazioni di tattica politica? Fino a che punto questa decisione è legata alla “delusione” che da quel bacino politico è arrivata all’ultima tornata elettorale?
Quello che impressiona non è che sulla scuola si abbiano idee diverse. E’ inevitabile che sia così, a seconda che la si guardi dal punto di vista delle famiglie, degli insegnanti, degli industriali, da destra o da sinistra. Ed è sacrosanto che ci si confronti e che ci si scontri. Importante, importantissimo sarebbe che ci si scontrasse e ci si confrontasse guardando al di là e al di sopra degli interessi di bottega, quale che sia la bottega. Ecco, vorremmo che da parte del Governo, dopo tante lavagne, si abbandonasse ogni logica di bottega, ogni tiro alla fune con minoranze interne ed esterne. Ci fosse la serietà di considerare il tema con la logica del servizio al Paese, parlandone quanto basta per fare capire a tutti cosa si intende fare, senza stop and go continui. Lo chiedono soprattutto quei 100mila precari, per mesi sulla corda, a cui il premier ha detto ieri: “Spiacenti , tutto rinviato, per colpa d’altri”.
Sulla scuola servirebbe – cosa che da sempre manca - uno sguardo d’insieme, largo, ma soprattutto lungo, che non sempre porta immediati consensi ma che potrebbe aiutare a scommettere sul Paese.
Un discutere alto, nel merito. Il problema è che la politica non ha mai tempo di aspettare, meno che mai al tempo della comunicazione 2.0, e la battaglia, allora, si gioca qui e ora. Con un eccesso di tattica che non fa bene a nessuno.