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martedì 17 settembre 2024
 
 

Scuola, risposta a Mario Monti

28/11/2012  Monta sulla rete (ma non solo) la polemica degli insegnanti italiani contro le dichiarazioni del Presidente del Consiglio rese domenica sera alla trasmissione tv “Che tempo che fa".

In un minuto di una più ampia intervista dedicata al futuro dell’Europa unita e ai problemi della crisi economica, Monti a un certo punto lancia una bordata contro la classe docente del nostro Paese: “C’è un grande spirito conservatore e grande indisponibilità a fare anche due ore in più la settimana, cosa che avrebbe permesso di liberare risorse per fare politiche didattiche. Gli studenti hanno fatto bene a manifestare il loro dissenso, ma i corporativismi spesso usano i giovani per perpetuarsi, per non adeguarsi a un mondo più moderno”. Dunque i docenti italiani costituirebbero, per il capo del governo, una casta conservatrice e corporativa. Apriti cielo! E giustamente: non si ricorda attacco così duro agli insegnanti da parte di un primo ministro.

La reazione dei docenti

Insegnanti che però non ci stanno a essere dipinti come un freno alla modernizzazione e alla produttività del Paese. Anche perché le ultime finanziarie hanno già chiesto a questa categoria pesanti sacrifici: vedi il blocco degli scatti di anzianità fino al 2014, la riduzione dei fondi alle scuole, l’aumento del numero di studenti per classe ecc. I professori fanno notare, peraltro, che l’ipotesi di aumento orario contenuta inizialmente nella bozza della legge di stabilità (ipotesi poi rientrata in seguito alle sonore proteste dei lavoratori della scuola) era di 6 ore di lezione a settimana (e non di 2 come detto da Monti), ovviamente a parità di retribuzione.

E 6 ore in più di lezione frontale significano in realtà un aumento, come minimo, di 12 ore di lavoro, poiché per ogni ore di lezione va calcolata almeno un’altra ora per la preparazione della didattica e per la correzione delle verifiche scritte. “Si continua impunemente”, scrive sul web un collettivo di docenti, “a misurare il nostro lavoro in termini di presenza a scuola, come se si misurasse il lavoro degli avvocati solo con la loro presenza in tribunale oppure il lavoro del giornalista Fabio Fazio, che non ha minimamente replicato a Monti, con la sua presenza in trasmissione”.

Le scuole migliori

  

La polemica tra gli insegnanti e il capo del Governo deflagra in concomitanza con la pubblicazione di un’importante ricerca realizzata da Pearson, il colosso mondiale dell’editoria didattica (da noi, Pearson Italia comprende alcuni marchi storici come Paravia e Bruno Mondadori). Un corposo dossier, intitolato The learning curve (La curva dell’apprendimento) e presentato martedì scorso a Londra, volto a comparare i sistemi scolastici di 50 Paesi. In base a questo autorevole studio, le due nazioni con le migliori performance scolastiche risultano essere Finlandia e Corea del Sud (l’Italia è al ventiquattresimo posto: meglio della Francia e della Norvegia, peggio del Regno Unito e della Germania).

In realtà, i sistemi scolastici di Finlandia e Corea del Sud sono molto diversi tra di loro: il secondo rigido e basato su verifiche e test, un sistema in cui gli studenti sono obbligati a investire molto tempo, ad esempio, nello studio e nei compiti per casa; il sistema finlandese molto più flessibile, incentrato sul lavoro a scuola, sulla socializzazione e sullo sviluppo della creatività.

Motivare, non bastonare

I due sistemi hanno però in comune alcuni elementi molto importanti: la valorizzazione del capitale umano degli insegnanti. Un capitale umano che non può essere sostituito da alcuna innovazione tecnologica. In che modo si valorizzano i docenti? Attraverso il riconoscimento diffuso del loro ruolo sociale, il rispetto che viene loro tributato (anche, ma non solo, attraverso stipendi adeguati al livello di un professionista: cosa che in Italia non si può certo dire per quanto riguarda i salari degli insegnanti), cospicui investimenti da parte dello Stato per formarli e aggiornarli continuamente. Di certo denigrarli e bastonarli a ogni occasione – come ha fatto il premier Monti domenica scorsa – non va in questa direzione.

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