Caro padre, ho deciso di scrivere questa lettera per dire la mia sulla situazione della scuola e di noi insegnanti. Ognuno crede di sapere tutto ma in realtà è una gara a chi la spara più grossa. Le uniche persone da cui accetto consigli sono quelli che gestiscono comunità od oratori che aiutano i ragazzi difficili e non. Comincio dall’inizio: la scuola non è una ludoteca e i docenti non sono baby sitter, come vorrebbe il ministro Fedeli, che ha proposto scuole materne aperte anche di sabato e domenica per i genitori che lavorano. E i figli degli insegnanti e del personale scolastico? Quando stanno con i genitori? Passiamo poi a cosa fare con i ragazzi difficili che non vogliono fare nulla a scuola e che non si recuperano con le canzoni o i film. Per aiutare quei ragazzi, e parlo soprattutto dei componenti delle baby gang, ci vuole personale. Ha ragione don Mazzi quando dice che ci vogliono insegnanti preparati! Nessuno ci insegna come affrontare queste situazioni. Quando seguivo i corsi di specializzazione all’Università parlavano di classi ideali e alunni modello; ho scoperto poi, ma lo immaginavo, che la realtà era diversa. Quindi se si vuole fare qualcosa per aiutare i ragazzi, ci vuole una scuola diversa che sappia prendersi cura ed educare anche i ragazzi abbandonati dai genitori. Ma tutto questo non possono farlo gli insegnanti da soli!
CARMEN RUFFO
Parto dalla tua ultima affermazione: gli insegnanti non possono fare tutto da soli. Serve, infatti, una sorta di nuovo patto educativo, che veda insieme, come alleati per il bene dei ragazzi, scuola e famiglie, insegnanti e genitori. In questo patto non si devono escludere le parrocchie e i diversi altri educatori, come gli allenatori, gli assistenti sociali eccetera. Soprattutto non devono essere esclusi i ragazzi stessi. Essi non sono solo destinatari dell’educazione, ma protagonisti della loro vita. In fondo, i ragazzi vogliono solo un po’ più d’attenzione, vogliono essere presi sul serio, sfidati a dare il meglio di sé. Non tanto essere coccolati e viziati dai genitori (che oggi spesso sembrano solo avvocati dei loro figli).