Non c’era bisogno di aspettare i risultati del rapporto
comparativo sullo stato di salute della scuola dei Paesi Ocse per scoprire che
nel nostro Paese i problemi dell’istruzione sono precipitati agli ultimi
gradini nella scala del pubblico interesse. Con quel velo di ipocrisia che fa disperare sulla possibilità di una
risalita, almeno in tempi brevi. A tal punto che, dopo l’ennesima bocciatura
del nostro sistema scolastico, al ministero di viale Trastevere, anziché
strapparsi i capelli, hanno deciso di autopromuoversi, emanando un comunicato
che esprime soddisfazione da parte del ministro Gelmini e del suo staff.
Il dato più grave dell’indagine Education at a Glance
2011, appena pubblicata, riguarda proprio la classe
insegnante, che era e rimane il nodo del problema. Gli stipendi dei maestri e
dei professori italiani sono mediamente inferiori del 40% rispetto alle retribuzioni degli altri paesi
Ocse. Come dire che un giovane preparato e talentuoso, nel nostro Paese,
dovrebbe sopportare anni e anni di precariato per ambire a uno stipendio da
fame. Senza prospettive di cambiamento.
Infatti, se tra il 2000 e il 2009 nei Paesi Ocse gli stipendi degli insegnanti sono aumentati in media del 7%, in
Italia sono addirittura diminuiti di un punto.
Non sono questi i presupposti di una scuola di qualità,
inutile nasconderlo. Se i Governi di centro e di centrosinistra nel passato
hanno creato non pochi danni, con la complicità dei sindacati, quello attuale
deve dichiarare il suo fallimento. Erano partiti lancia in resta, con
l’obiettivo di ridare alla classe insegnante maggior considerazione presso
l’opinione pubblica, il che mal si concilia con una delle retribuzioni più
basse nella scala impiegatizia.
Non ancora classi pollaio, però...
D’altra parte, se ce ne fosse bisogno, il rapporto conferma che la scuola non è una priorità per i nostri politici : nel 2008 l`Italia ha speso il 4,8% del Pil per l’istruzione, ovvero 1,3 punti percentuali in meno rispetto al totale Ocse, posizionandosi al 29 posto su 34 Paesi. Senza considerare che, su 33 paesi dell'Ocse i cui dati sono disponibili, l'Italia è uno dei pochissimi (insieme a Grecia, Lussemburgo e Messico) che non prevede ispezioni scolastiche, né valutazioni del proprio operato da parte di ciascuna scuola.
Diventa difficile, a questo punto, accontentarsi dei pochi numeri che tornano. E che, in ogni caso, vanno interpretati. Secondo il Rapporto, infatti, i nostri studenti, nel corso dell’anno, stanno sui banchi un po’ di più degli altri. Il tempo scuola, negli altri paesi Ocse, è in media di 6.732 ore mentre in Italia andiamo sino a 8.316 ore. Basta buttare sulla bilancia le ore del tempo lungo o del tempo pieno delle scuole primarie del Nord e del Centro, in controtendenza rispetto al Sud, per dare conto di un primato che non può essere considerato, di per sé, un indicatore di qualità.
Ancora. Nonostante i tagli non saremmo ancora arrivati, secondo il Rapporto, alle classi pollaio. In media nei Paesi Ocse vi sono 16 studenti per insegnante nella scuola primaria, che diventano 13,5 al livello secondario e 14,9 al terziario, ossia alle superiori. La proporzione studente-insegnante va da 24 studenti e oltre per insegnante in Brasile e Messico, a meno di 11 in Ungheria, Norvegia e Polonia. In Italia, la proporzione è di 10,7 al livello primario, di 11 al secondario e di 18,3 al terziario.
Chi conosce la peculiarità della geografia italiana, con le debite differenze tra scuole di città, isole e montagna, sa bene che, nonostante i numeri sulla carta, c’è poco da illudersi, specialmente nelle classi che si addossano il compito non facile, e di certo non eludibile, dell’integrazione degli alunni disabili e dei figli dell’immigrazione.
La qualità è data dai risultati, che stentano purtroppo ad arrivare quando manca la passione educativa. Se ne sono accorti anche gli ex fan del ministro Gelmini di Comunione e Liberazione che quest’anno, al Meeting di Rimini, non le hanno offerto la consueta platea. Anzi. Il coro delle critiche dei seguaci del movimento è sfociato in un appello sulle colonne del quotidiano Avvenire che ha raccolto oltre 15.000 firme, tra cui quelle di intellettuali come Luciano Violante e Angelo Panebianco.
Il nodo delle critiche riguarda, ancora una volta, il problema del reclutamento degli insegnanti. Se il ministro Gelmini continua a strizzare l’occhio ai sindacati, per contenere le proteste ai tagli, intasando la scuola con l’assunzione dei precari storici, senza scremature né concorsi, i giovani laureati dopo il 2008 non avranno accesso all’insegnamento per i prossimi 5 o addirittura 10 anni. Qualcuno può illudersi che i migliori, per quanto motivati, non cercheranno da subito altre strade?