In occasione del Sessantesimo anniversario di Tutto il calcio ripubblichiamo il ricordo che lasciò a Famiglia Cristiana nel 2009, Alfredo Provenzali (scomparso nel 2012 eritratto nella foto) in occasione del 50° della trasmissione
C’era una volta un calcio in cui le partite si vedevano con le orecchie. Un tempo in cui le immagini non avevano ancora invaso tutti gli interstizi della fantasia, intrufolandosi fin negli spogliatoi. Gli incontri cominciavano tutti insieme e soltanto la domenica nel primo pomeriggio e tutto quello che sapevi del campionato, prima delle 19, ti entrava in casa dalle voci di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Roberto Bortoluzzi & C.
Per chi è stato bambino allora, le magie del pallone erano un signore che parlava alla radio con una voce dalle batterie in perenne esaurimento e un nonno che viaggiava con una radiolina transistor attaccata all’orecchio, per sentire (ovviamente senza cuffie) le partite, anzi i rimbalzi di Tutto il calcio minuto per minuto.
Sembra passato un millennio, invece è solo mezzo secolo: Tutto il calcio compie cinquant’anni, e forse è un animale giurassico sopravvissuto alle glaciazioni, ora che all’orecchio tutti portano un altro oggetto ben più molesto: non senti più quello che sentono, in compenso ascolti tutto quello che dicono, affari privati inclusi.
Navigando di conserva tra la generazione del buco della serratura e quella del racconto per voce sola, continua a viaggiare sulle onde di Radiouno la voce di Alfredo Provenzali, oggi in studio a Tutto il calcio, e vien da chiedergli quanto difficile sia evocare soltanto a parole ciò che tutti possono vedere a colori, in diretta, in alta definizione, semplicemente pagando. «Bisogna cercare di dimenticare che il mondo è cambiato, che noi e il calcio non siamo più quelli di una volta, ma che, tutto sommato, c’è ancora qualcosa che ci unisce a quel calcio e a quel tempo. Bisogna cercare di fare le stesse cose che facevamo allora con l’entusiasmo di allora, sapendo che qualcuno – anche se non siamo più ai 20 milioni di radioascoltatori di un tempo – ancora ti segue e ti ascolta». Venti milioni fanno tutta la popolazione maschile italiana al netto dei lattanti e degli ultracentenari...
«Ma c’erano anche le donne. Tutto il calcio minuto per minuto è nata quando ancora esistevano dei punti fermi: la domenica era il giorno più importante della settimana, cominciava la mattina presto con tutta la famiglia che si recava alla Messa, poi le donne tornavano a casa a preparare il pranzo, mentre il capofamiglia andava dal pasticciere all’angolo per comprare un piccolo cabaret di paste (ma poche, poche, poche). C’era il rito dei dolci riservati alla domenica per la famiglia allargata a nonni e nipoti. Poi quando cominciava il secondo tempo delle partite – i primi tempi non venivano trasmessi allora – gli uomini si riunivano nel salotto buono attorno a quel rudere di legno chiamato radio ad ascoltare un gentiluomo attaccare: “Gentili ascoltatori buon pomeriggio, è Roberto Bortoluzzi dallo studio centrale che vi parla” ». Eccetera eccetera.
Poi a poco a poco abbiamo cominciato ad andare alla Messa anche di sabato, a comperare le paste quando capitava. E qualcosa è cambiato. Tutto il calcio ha resistito. Ma le tempeste da attraversare non sono state poche, anche perché il radiocronista, assediato dalle immagini, ha smesso di essere un testimone unico: «Si cerca di non pensare alle papere che potresti fare, se no staresti zitto. Continui a fare qualcosa che forse non ha più l’interesse di una volta, con la stessa passione.
Poi, però, ti accorgi che la figlioccia di tua figlia, che ti gira per casa circondata dai giocattoli più avveniristici, resta incantata da una voce che le racconta Cenerentola. E allora capisci che le favole esisteranno sempre, anche se noi non ci crediamo più tanto».
«E se tornassimo ad Ameri?» Impossibile non chiedersi e non chiedere a Provenzali quante volte abbia rischiato di finire la favola di Tutto il calcio e dei suoi innumerevoli minuti. «Tante volte hanno cercato in molti, per questioni di diritti, di palinsesti e diavolerie varie, di cambiare le regole del gioco. Il fatto che non ci siano riusciti dimostra che il gioco vale ancora». Anche se noi proviamo a dimenticarlo, ammazzandolo e complicandolo di cifre e di statistiche: «Dovremmo tornare ad Ameri, alle sue cronache fatte di una palla che andava avanti e indietro, di contropiede, gol e quasi gol (come diceva Niccolò Carosio). Abbiamo smesso di fare cronaca per trasformare il calcio in una scienza astrusa. Il risultato è che le famiglie, che non capiscono niente di schemi, allo stadio non ci vanno più. Anche perché per andarci devono vedersela con un percorso a ostacoli di documenti, cancelli e tornelli. Eppure, nonostante tutto, la Cenerentola di Tutto il calcio, non so come, resiste».
Se ne sono andate invece ormai le sue voci storiche Bortoluzzi, Ameri, Ciotti, per ciascuna delle quali Provenzali ha una piccola radiocronaca in serbo. «Bortoluzzi è stato il gentiluomo del microfono, c’era un solo modo di farlo uscire dal suo cliché ed era ricordargli delle sconfitte del Napoli, di cui era tifosissimo senza darlo a vedere: a quel punto il suo perfetto italiano, verrebbe da dire oxfordiano, si tramutava in un “allora guagliò’” seguito da frasi irripetibili».
Rimangono Ciotti e Ameri, la strana coppia, diversissimi e complementari: «Enrico Ameri era il cronista per antonomasia, non faceva colore, diceva quello che vedeva: andava come un treno tutum tu-tum tu-tum con parole semplici, comprensibili a tutti. Ciotti era il suo contraltare: ti spiegava che il treno correva così, per le ruote così, per i binari così. Non ci stava a perdere a carte, era un vincente nato con un linguaggio incredibile. Diceva di sé “sono figlioccio di Trilussa”. Allora non usava, ma Ameri alla cronaca e Ciotti al commento sarebbero stati una coppia inarrivabile». Lo sono. Li ascolta, dove “abita” ora, il nonno che andava alla partita con la radiolina e leggeva ogni mattina la Gazzetta dello sport a fil di labbra (forse perché non sapeva leggere tanto bene). Alla Pay-tv ultimamente si era abbonato, ma non era quello il suo calcio. Il “fùbal”, come lo chiamava lui, l’ha ritrovato in un luogo tra le nuvole dove sky è solo la parola inglese per dire cielo, dove le partite cominciano tutte la domenica pomeriggio e dove la Cremonese è finalmente, stabilmente, in Serie A.