La storia è nota, l'avere sentita sui Tg di ieri sera e letta sulle prime pagine dei giornali di oggi: il Real Madrid ha acquistato Gareth Bale dal Tottenham per 110 milioni di euro. Mai il cartellino di un giocatore di calcio era stato pagato tanto. Insieme alla notizia, sarà snocciolata anche la classifica degli acquisti più costosi della storia, Cristiano Ronaldo, Zinedine Zidane e così via. Da parte nostra, ci permettiamo di aggiungere una riflessione. In breve: ha senso che il cartellino di un giocatore venga pagato tanto? non abbiamo superato il senso del limite, e con esso, perso il senso della realtà?
Non mancherà chi ci accuserà di moralismo a buon mercato, o chi ci farà presente che non è da oggi che il mondo del calcio e dello sport hanno valicato il limite della pratica sportiva per tramutarsi in un'impresa, in un business, che, come tale, ha le sue regole, opera in un mercato dominato dalle legge della domanda e dell'offerta, dove chi più ha più può spendere... Tutto vero e risaputo, tant'è vero che la nostra testata non è nuova a prese di posizione come questa.
Tuttavia, è necessario che ci fermiamo a riflettere: 110 milioni di euro. Provate a immaginere in quali altre e più costruttive maniere avrebbe potuto essere impiegata una somma del genere. Domandatevi quanto guadagna un operaio in un anno intero, quanto guadagnerete voi nell'arco della vostra intera vita, o quante famiglie potrebbero ripianare i loro debiti se disponessero di quella cifra. In base alla risposta, valutate se quel numero - 110 milioni di euro - messo in relazione alle prestazioni sportive di un giocatore abbia ancora un senso...
Forse ci siamo assuefatti a questo spaventoso giro di denaro e non abbiamo più la sensibilità per ragionare sul suo significato, per discernere, per valutare. Dobbiamo trovare la lucidità morale e il coraggio per dire, semplicemente: questo è uno scandalo. Non è un problema che nasce oggi, certo, ma il caso-Bale, nella sua enormità, ha almeno il merito di aprirci gli occhi, di scuotere la nostra coscienza, come chi abbia preso uno schiaffo all'improvviso, affinché ci si chieda, almeno, se non sia giunto il momento di far sentire la nostra voce, di rimettere in contatto lo sport - che dovrebbe essere festa, divertimento, passione - con la realtà e il suo spirito originario.
A chi obietta che il calcio è business e che è ipocrita storcere il naso di fronte al nuovo record, vorremmo chiedere se non siano proprio le regole dell'economia a imporre una gestione più oculata ed equilibrata del denaro. Ogni buon padre di famiglia, non diversamente da ogni impreditore, sa che alla fin del mese i soldi che escono non devono superare quelli che entrano; sa che, se si contrae un debito (ad esempio per il mutuo della casa), si dovrà pagarlo mese per mese. Perché tutto ciò non vale per il calcio?
E che fine ha fatto, monsieur Platini, il famoso fair-play finanziario, in base al quale ogni squadra deve raggiungere il pareggio di bilancio? Sappiamo che il Real Madrid è il club più ricco al mondo, ma sappiamo anche che è pure fra i più indebitati.
Ci chiediamo inoltre se queste "esasperazioni finanziarie" non contribuiscano a creare, attorno al pallone, una cultura poco incline a coltivare quei valori di rispetto, lavoro, solidarietà che pure sono l'essenza dello sport autentico. Di certo, non educano i tifosi a una percezione del valore dell'oggetto della loro passione.
Ecco, il problema è questo: abbiamo perso la percezione della realtà, la capacità di dire che qui si sta esagerando. E dirlo non è segno di moralismo, ma di buon senso.