Due ragazzi di 14 e 15 anni domenica prendono un appuntamento con il loro spacciatore. Gli rubano la cocaina e poi lo uccidono a coltellate. Poi corrono a casa, mettono i vestiti sporchi di sangue in lavatrice e lavano il coltello, per cancellare le tracce del delitto. In questa storia orribile c’è tutto il disagio, il vuoto, l’abbandono in cui si muovono alcuni giovanissimi in questi mesi. Non visti, non intercettati da nessuno, la loro crescita è vuota e a rischio. Vagano in periferie che sono “non territori” perché non c’è nulla che li può “tenere in traccia”. Fuori dai circuiti scolastici, invisibili nel loro non avere un luogo e una direzione che li fa sentire appartenenti alla vita e ad un progetto con cui abitarla, si perdono nello sballo psicotropo e fanno danni.
La cronaca locale della nostra regione in queste settimane ha portato alla ribalta casi di gang micro-criminali composte da giovanissimi che fanno cose gravissime con la leggerezza e l’incoscienza di chi non sa che cosa è la vita, perché ancora non l’ha imparata. Ma non c’è nessuno che gliela insegna. In questo lungo tempo di invisibilità per i minori, diamo per scontato che tantissimi ragazzi e ragazze stiano proseguendo la loro vita seguendo la didattica a distanza, rimanendo tranquilli nelle loro camere. Ma alcuni di questi “invisibili” vagano invece nei territori abitati dalla criminalità e dagli spacciatori, vengono intercettati e avviati ad una precoce dipendenza che a sua volta diventa l’origine della loro incursione nel territorio della criminalità.
I due giovanissimi che hanno ucciso il loro spacciatore hanno detto di averlo fatto per vendetta: dovevano eliminare la persona che li aveva fatti entrare nel tunnel della dipendenza. Gli inquirenti e i media affermano che la motivazione non sta in piedi. E che loro quel giorno volevano impossessarsi della sostanza psicotropa che in effetti hanno sottratto alla loro vittima. Parole non credibili ma che implicitamente dicono una verità che riguarda molte periferie della nostra nazione: in molti territori, le figure con funzione educativa sembrano scomparse.
Non ci sono attività che permettono a chi cresce di trovarsi, animarsi e aggregarsi. La logica del lockdown e del distanziamento fisico/sociale lascia soli, isolati e dispersi proprio coloro che invece hanno bisogno di stare insieme, in gruppo, in relazione, cioè i giovanissimi. Che abbandonati a se stessi, spesso non sanno tenere in mano il timone della loro navigazione nella vita. Alcuni di loro si perdono nel web e lo trasformano nel loro “paese dei balocchi” rischiando di entrare nel territorio del ritiro sociale. Altri si perdono nelle periferie, facili prede di figure molto simili al “gatto e alla volpe”, proprio come successe a Pinocchio.
La storia terribile, successa a Monza, ci conferma che i preadolescenti sono “mine pronte a fare danni” se non ricevono sostegno alla crescita. Le scuole chiuse, l’assenza dello sguardo adulto sulle e nelle loro vite genera un deserto educativo intorno a loro che li porta ad assumere un rischio che può degenerare in storie tremende come quella accaduta a Monza. Per questo non si devono lasciare i ragazzi e le ragazze soli e invisibili.