Dunque Google fa la voce grossa e oscura le news in Spagna (dal 16 dicembre). E’ la risposta del colosso di Mountain View alla nuova legge sulla proprietà intellettuale varata dal governo Rajoy e approvata dal Parlamento di Madrid. La normativa, che andrà in vigore dal primo gennaio prossimo, impone ai cosiddetti “aggregatori di notizie” una compensazione economica agli editori che hanno prodotto i contenuti web. Una questione semplice semplice che riguarda la proprietà intellettuale: se un editore mette in Rete dei contenuti (notizie, interviste, reportage, fotografie, video, tg digitali etc.) e paga i dipendenti o i collaboratori che li hanno prodotti, perché mai un altro editore web (nel nostro caso Google, ma non solo) dovrebbe aggregare e diffondere gli stessi contenuti in tutto il mondo, guadagnandoci in pubblicità, gratis ed esentasse?
Dov’è, come si dice in gergo, la “compensazione equitativa”? Perché non si pagano i diritti d'autore? In Italia, ad esempio, ormai mancano solo le finestre e i cappelli ad essere oggetto del fisco: non si capisce perché una multinazionale che lo scorso anno in Italia ha fatturato 1.100 milioni di euro esentasse non debba pagare royalties ed essere sottoposto a prelievo fiscale. In Spagna l’obiezione della minoranza parlamentare è stata che la nuova legge favorisce i grandi editori e mette in difficoltà i piccoli (che fanno uso di questi contenuti messi in Rete gratuitamente e poi li rielaborano e che soprattutto sono favoriti dai milioni e milioni di clic e visualizzazioni veicolati proprio grazie ai motori di ricerca). Ma alla lunga, sostiene il governo spagnolo, che tra l'altro ha esentato gli utenti e le reti sociali, anche i piccoli ne verrebbero avvantaggiati. Anche gli editori minori infatti producono contenuti, e la mole di notizie cui attingono è quasi sempre minore rispetto a quella che rielaborano e producono.
L’elusione fiscale dei big della Rete e il pagamento dei diritti d'autore non è più tollerabile se vogliamo salvare il mondo editoriale, in grave crisi proprio per l'avvento delle nuove tecnologie. Tra l'altro la Spagna non è il primo Paese a imporre una tassa. Iniziative del genere sono state già prese in Germania, Belgio e Francia anche se la Spagna impone un tributo obbligatorio e quindi non è possibile, come è avvenuto in Francia, arrivare ad accordi privati che aggirano le leggi (la società californiana ha stretto un accordo da 60 milioni con gli editori per continuare a diffondere le notizie da essi prodotte).
Questa situazione è figlia della globalizzazione, che mette in difficoltà gli Stati favorendo le realtà finanziarie ed economiche transnazionali (spesso proprio grazie alla Rete). In Gran Bretagna le sette maggiori multinazionali presenti sul mercato britannico (con sedi in altri Stati, che le favoriscono fiscalmente grazie a una legislazione favorevole) versano 54 milioni di euro a fronte di 15 miliardi di ricavi! Possiamo andare avanti così, con questi grandi gruppi che si muovono come leviatani nel mondo immuni dal fisco, saltando da un confine all'altro, quando mezza Europa è sul baratro della disoccupazione e la pressione fiscale compromette, oltre che il tenore delle famiglie, il futuro industriale del Paese? Lasciamo pure che si spengano le news, saranno altri a diffonderle in un Paese democratico. E' molto probabile che gli aggregatori di notizie verranno a patti come è avvenuto ragionevolmente in Francia. Non gli si chiede di scomparire, ma di pagare le tasse e i diritti d'autore come tutte le altre aziende editoriali del "vecchio mondo".