Brutte notizie per la libertà di stampa in Italia: la più “minacciata” d’Europa. Secondo uno studio presentato all’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA), il nostro Paese, nel 2016, registra il più alto numero di minacce e pressioni contro giornalisti e altri operatori dei media. Il rapporto, che si basa sui numeri elaborati dal “Mapping Media Freedom”, segnala per l’Italia 92 casi di minacce o pressioni dall’inizio dell’anno fino a settembre. distanziatissima la Francia, seconda, con 55 casi. Paesi più sicuri? Danimarca, Repubblica Ceca e Slovacchia con nessun caso.
Certo, si tratta di classifiche, quindi da prendere sempre con le pinze. I numeri, segnala infatti lo studio, potrebbero essere sottostimati da Paese a Paese. I metodi di raccolta dei dati non sono stati uniformi e quindi anche il primato negativo dell’Italia potrebbe essere sovradimensionato. Resta comunque il fatto preoccupante che in Italia la situazione sembra peggiorare di anno in anno: i casi segnalati in tutto il 2015 erano stati infatti 82 e 58 nel 2014. Autori delle minacce possono essere gruppi criminali, ma anche uomini politici e d’azienda o semplici cittadini. Lo scopo è sempre intimidatorio e mira a ostacolare illecitamente il lavoro dei giornalisti.
La ricerca, poi, fa il paio con un altro rapporto: quello di Reporters Sans Frontieres diffuso ad aprile con l’indice della libertà di stampa mondiale. Ebbene, l’Italia si piazza al 77° posto (su 180 Paesi censiti), quasi fanalino di coda dell’Europa, in cui precediamo solo Grecia, Cipro e Bulgaria. Le prime della classe sono invece: Finlandia, seguita da Olanda e Danimarca. Il nostro Paese, per capirci, è preceduto da Paesi come Tonga, Burkina Faso e Botswana, e precediamo di pochissimo il Benin e la Guinea Bissau. Anche in questo caso rispetto all’anno precedente perdiamo posizioni (dal 73° al 77°).
Diciamocelo: il Bel Paese, comunque si valutino questi rapporti, non è che ci faccia una grand bella figura. La notizia non ha avuto molto risalto sulla stampa. Qualcuno ha ipotizzato la “cattiva coscienza” dei media nazionali, ma forse, più semplicemente, perché si tratta di una notizia che … non fa troppa notizia. Ora, si può certo dubitare sulla scientificità dei numeri (classifiche simili sono sempre una “semplificazione” di una fotografia assai più complessa). E basta che cambino uno o due parametri nell’indagine, da nazione a nazione, per “sballare” il risultato. E’ del tutto evidente, infatti, che l’Italia non è certo un Paese in cui vige un cupo regime liberticida alla sudamericana; o uno stato di censura come in certi Paesi Arabi o dell’Europa dell’Est. Suvvia, la nostra informazione sarà omologata e distratta, ma non ridotta a tanto! E due punticini in più in queste graduatorie ti portano a decine di posizioni più in su.
Possiamo consolarci anche così. Resta, tuttavia, la mediocrità della nostra posizione e il suo progressivo peggioramento. Inesorabilmente. “E’ triste, ma non possiamo più dare per garantiti dei media liberi e pluralistici – ha affermato Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, commentando in generale i dati dell’agenzia Fra - una sfida che ha un profondo impatto sul funzionamento della nostra società”. In altri termini, se l’informazione è asservita ne va di mezzo la fiducia dei cittadini nei confronti dei media.
E, anche qui, la conferma arriva puntuale: l’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro, il servizio informativo dell’Ue, dice che il 57% degli europei non crede che i propri media nazionali siano liberi da pressioni politiche o commerciali. Al contrario solo il 53% pensa che forniscano un’informazione affidabile. Si minaccia un giornalista o una testata, quando questi danno fastidio, e questa è un’ovvietà, chiara a chiunque. Ma si minaccia soprattutto chi è messo in condizione d’esser minacciato, un poco protetto, un esposto, un non garantito, un isolato. E questo è altrettanto ovvio, ma assai meno considerato. Paolo Borrometi, giovane giornalista siciliano minacciato dalla mafia, sotto scorta da due anni, ci confidava con amarezza: “Decisi di continuare a fare inchieste antimafia quando, un giorno, la nuora di un boss di Vittoria mi disse: ‘ Non capisco perché tu non faccia come tutti gli altri giornalisti’”. La miglior scorta è quella “mediatica”, cioè quella formata da chi tiene alta l’attenzione sui fatti criminali, e continua a fare inchieste.
E oggi i giornalisti, nel nostro Paese, si possono trovare, forse più di ieri, in questa situazione di isolamento e scarsa tutela professionale. Tutto ciò ha certo a che fare direttamente con l’alzo tiro di della criminalità organizzata e la sua maggior aggressività e spregiudicatezza d’azione. Ma anche con qualcos’altro. Il deteriorarsi delle condizioni di autonomia è collegato al peggioramento delle condizioni di lavoro. Un’informazione più povera e in crisi è un’informazione meno libera, più ricattabile, e pertanto più corruttibile. Un editore più povero teme di più la querela o la causa civile che potrebbe derivare da inchieste scomode. Ancor di più giornalisti poco o per nulla garantiti sono soggetti ad attacchi e ricatti che ne minano l’autonomia e la possibilità di indagare. Se vali di meno, è più facile essere “venduti e comprati”. Redazioni impoverite, giornali dimezzati, testate-fantasma, sorrette magari da service esterni poco controllabili, o che riciclano notizie altrui, non fanno che abbassare la qualità del prodotto informativo, in primis, ma anche la libertà d’inchiesta e di critica, che è merce non qualsiasi in una democrazia, ma delicato ingrediente, e di rapida deperibilità, senza il quale una società è soggetta fatalmente a tristi destini.
“E la stampa, bellezza! E tu non ci puoi fare niente!”, diceva il giornalista Humprey Bogart, facendo sentire al telefono le rotative in azione al criminale di turno. Il film-mito s’intitolava ’L’ultima minaccia’. Non sarebbe stata l’ultima, purtroppo.