Gli abbattimenti delle case abusive a Casal di Principe lo scorso 2 settembre (Ansa)
Alle porte di Casal di Principe il classico cartello di benvenuto annuncia l'arrivo nel “paese nativo di don Peppe Diana”, dove “uniti nella legalità si vince”. Poi compaiono le prime case e i vicoli troppo spesso deturpati dall’abusivismo, appoggiati su un manto stradale dove reti di crepe e buche si rincorrono. Un paese silenzioso, dove sembrano mancare le risate di bambini e il vociare di anziani. Per ritrovare gente, socialità, bisogna entrare nei cortili delle parrocchie, quattro in una cittadina di poco più di ventimila. Ed è in una di queste chiese, quella dedicata a San Nicola di Bari, che il 19 settembre 1989 don Giuseppe Diana fu ordinato sacerdote.
Una parrocchia fondata negli anni Sessanta in uno dei quartieri più poveri di Casal di Principe, il quartiere Larino, residenza dei più noti esponenti dei clan della camorra. Nella parrocchia San Nicola di Bari a Casal di Principe, qualcuno ha raccolto l'eredità di don Giuseppe Diana, assassinato dalla camorra il 19 marzo del 1994. Da oltre vent'anni al suo posto c'è don Franco Picone. “Se dovessi dire che la camorra, qui a Casal di Principe, si sta riorganizzando non sarei così sicuro”. È abituato a ragionare, don Franco. A riflettere e a far riflettere. I fori di proiettile esplosi contro il bene confiscato in cui ha sede la “Casa di don Peppe Diana” sono lì, a testimonianza dell'ultimo grave episodio. Ma per il parroco di Casale bisogna allargare la visuale sul problema. “Il gesto non va sottovalutato – dice - ma dall’altra parte almeno per ora nemmeno drammatizzato. In passato queste cose le hanno fatte anche al parco Don Diana, io che ci sto da 27 anni, cose così, in passato, ne ho viste tante, erano inserite però in un discorso più complesso ed erano chiari segnali. Oggi invece non mi sembra una dichiarazione di guerra”. Ed è sempre il passato ad insegnare. A dare una nuova lettura alle cose.
“Oggi la comunità non si fa intimidire. Casal di Principe è cambiata, dopo la repressione delle forze dell'ordine e l'intervento deciso della magistratura le cose sono diverse ma occorre fare di più, occorre alimentare e fornire le condizioni perché vi sia una vera rinascita” spiega don Franco Picone. E il pensiero corre subito ai giovani e al lavoro. “Ogni giorno assistiamo a vagonate di ragazzi che la mattina partono e viaggiano per raggiungere Roma, Pomezia e altre località dove hanno trovato un impiego. Ora qualcosa si sta muovendo anche qui, dove il principale settore lavorativo è l'edilizia. Ma il grosso problema – spiega don Franco – resta il reddito di cittadinanza. Casal di Principe ha il più alto numero di persone che percepiscono il sostegno, e molte volte c'è un appiattimento, un fermarsi da parte delle persone che preferiscono stare a casa piuttosto che lavorare. La pandemia ha dato il colpo di grazia ai giovani che già prima erano chiusi in un mutismo sociale spezzato solo dalla comunicazione sui social network. C'è bisogno di uscire, divertirsi, tornare alla normalità ma soprattutto alla socialità. Alla vita di tutti i giorni, una vita fatta di persone”.
Don Franco manda un messaggio ai giovani “Non abbiate paura di spendere il vostro tempo per il bene del paese che non vedo così amato, leggo più il desiderio di andare fuori che di restare e migliorare. Perché restare? Per un futuro diverso, per investire, per creare e non più demolire”. Per “amore della propria terra”, avrebbe detto don Peppe Diana.
Ma sono ancora tante le lacune da colmare, soprattutto in un Sud che viaggia a scartamento ridotto. “La regola che vale a Bergamo non può essere la stessa che vale a Casal di Principe – dice – che siamo ancora indietro”. Lo sa bene Renato Natale, sindaco amato dal suo popolo che ha rassegnato le dimissioni dopo un ordine esecutivo di sgombero e abbattimento nei confronti di due famiglie che vivono in immobili abusivi. Per don Franco questo diventa la cartina di tornasole di una giustizia sociale a due pesi. “La procura ordina l'abbattimento che però economicamente deve ricadere sulle casse del Comune. E allora come si fa a portare avanti un riscatto del paese, come si fanno nuove strade, nuove fogne, nuovi progetti se il Municipio cade in dissesto? La magistratura applica la legge e non può fare diversamente, ma la questione è un'altra. Io sindaco sono obbligato a dare corso ad una legge che poi rischia di ripercuotersi contro di me, come amministratore, e contro la mia gente. Cosa fare?”. È tutta in questa domanda la “questione casalese”, un problema complesso che si rispecchia in un meridione ancora e troppo spesso dimenticato.
Il sogno di una società nuova, fondata sui giovani, resiste però nelle parole e nel messaggio di un parroco. Un parroco che da oltre vent'anni porta con sé la testimonianza di un martire per la proprio terra.