Un liceo sperimentale focalizzato al superamento del test di accesso alla facoltà di medicina. Un indirizzo particolare del liceo scientifico che si chiamerà: biologia con curvatura biomedica. Se ne parla come di una cosa pronta a partire. Magari è la strada che farà felici tanti aspiranti medici, non più costretti allo studio matto e disperatissimo fai da te. Magari.
Però dà da pensare, non poco, l'idea di scuola sottesa all'esperimento – da tempo affermata oltre oceano dove è tutta una corsa ipercompetitiva a crediti, skills (abilità) fin dalla prima infanzia - un'idea di scuola in cui il test diventa il fine e non più il mezzo. Fa pensare alla bambina che la geniale versione cinematografica ha messo come cornice alla storia del Piccolo principe: una bambina cui la mamma aveva disegnato una strada segnata dentro un programma di studio serratissimo perché potesse entrare a tempo debito in una prestigiossima scuola scelta della madre, senza che mai nessuno domandasse alla bambina che cosa desiderasse, come si immaginasse da grande.
Un liceo si comincia a 14 anni, sarà anche vero che chi vuole fare il medico oggi – con la prospettiva della ghigliottina di quel test – sarà già deciso a quell’età. Ma 14 anni sono pochi per sapere chi si è e c’è in questione il senso della scuola, il suo fine vero. Viviamo, è vero, in un tempo in cui le opportunità sono poche per tutti e tocca attrezzarsi presto per non restare indietro nella scommessa di trovare un lavoro, ma viviamo anche un tempo in cui le conoscenze crescono in maniera esponenziale, in cui le implicazioni etiche di un lavoro altamente qualificato come quello di chi fa il medico, l’ingegnere, il giudice, l’astrofisico, il biologo, l’economista, – con le potenzialità fino a poco tempo fa impensabili che la scienza e la tecnologia aprono – diventano sempre più complesse.
A che cosa serve una scuola propedeutica come un liceo in mondo così, quale sfida deve raccogliere? Sorge il dubbio che il suo fine non sia preparare piccoli protomedici in erba, precocemente specializzati in vista di un test a 19 anni, ma far crescere persone a tutto tondo, capaci un giorno di farsi domande sui risvolti e sulle implicazioni morali, sociali e di ricaduta sull’umano degli strumenti che maneggeranno a tempo debito, mentre studieranno all’università e dopo, capaci di ragionare sulle conseguenze delle scelte a volte drammatiche che dovranno compiere quando il loro sogno di futuro sarà diventato un vero lavoro.
Siamo sicuri che un futuro medico, in un tempo come questo, tra i 14 e i 19 abbia bisogno di studiare più biologia e non invece più filosofia? Non solo, ci sarà pure chi a 14 anni sa già che da grande vorrà fare il medico (e pure chi ha una famiglia che lo preme per tradizione, prestigio, un posto che di qui a un po’ diventerà sicurissimo perché il numero programmato che ha generato il test è stato programmato male), ma ci sarà anche chi lo capirà proprio negli anni del liceo, quando sarà abbastanza grande per rendersi conto che E.R. è una serie Tv e la vita un’altra cosa. Quando sarà abbastanza maturo per chiedersi se, oltre a essere determinato a studiare per rispondere alle domande di biologia del test, sarà anche disposto a continuare a studiare tutta la vita anche dopo la specialità (senza accontentarsi del burocratico sistema creditizio della formazione continua), se saprà entrare in empatia con le persone, mantenendo il giusto distacco per non prendere decisioni emotive, se saprà assumersi la responsabilità che questo comporta, se saprà confrontarsi ogni giorno con la sofferenza delle persone, in definitiva con la vita e con la morte.
Accanto alle indispensabili conoscenze scientifiche è ancora la somma di queste caratteristiche a distinguere un bravo da un cattivo medico. E a quel che se ne sa sono caratteristiche che al momento sfuggono al test.