Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II.
La Palestina e i palestinesi non sono più "di moda". Le Chiese del Medio Oriente continuano a chiedere ai pellegrini di andare in Terra Santa anche per non far mancare una fonte di lavoro e si battono per creare stabilità sociale e un minimo di benessere. In Occidente, invece, sembra crescere il disinteresse per la sorte di un popolo preso tra l'incudine delle tensioni interne e il martello dei rapporti internazionali. Ne abbiamo parlato con Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II, da molti anni impegnata in progetti di cooperazione allo sviluppo in Medio Oriente e in Terra Santa in particolare.
- E' vero che le raccolte fondi delle Ong per la ricostruzione di Gaza non stanno andando bene? E' un problema che riguarda nello specifico Gaza o tutta la questione Palestina?
"Generalmente, negli ultimi due anni in particolare, le campagne di raccolta fondi per la Palestina hanno registrato risultati non brillanti e i fatti di Gaza, pure nella loro gravità ed entità, non fanno purtroppo eccezione".
- Quali sono, secondo lei, le ragioni?
"Premettendo che pressoché tutte le emergenze umanitarie a livello internazionale hanno avuto risposte non adeguate a mio avviso le cause vanno individuate nella congiuntura sfavorevole ma anche in un generale calo di tensione e attenzione verso le molteplici situazioni emergenziali che a ritmo incalzante negli ultimi tempi si registrano e verso le quali i media sempre più frequentemente producono un'informazione insufficiente o comunque "momentanea", che non aiuta per così dire a metabolizzare le vicende che in particolare nel vicino e medio Oriente sono strettamente legate tra di esse. A mio avviso anche l'assoluta ed incomprensibile (o forse anche troppo comprensibile) mancanza di una vera politica estera europea contribuisce non poco a mantenere sotto traccia questioni e problematiche molto più vicine a noi di quanto non si possa pensare".
- Quanto influisce su questo il modo di raccontare la crisi di Gaza e il problema della Palestina da parte dei media?
"La questione palestinese si è talmente cristallizzata che, qualsiasi cosa accada in quella regione, purtroppo non muove niente e nessuno in proporzione a quanto invece dovrebbe generare e ciò avviene appunto a partire dai media che oramai quasi stancamente e ripetitivamente ci raccontano le vicende di questa parte di mondo. Gaza non fa eccezione e non bastano le prime pagine di pochi giorni a ricentrare l'attenzione della gente quando poi subito si dimentica (o si vuole scientemente dimenticare) e si passa ad altro. Ma ciò non riguarda solo la Palestina, è un problema generale che ci fa seriamente riflettere di cosa veramente significhi un'informazione libera e non condizionata. Ma qui il discorso ci porterebbe lontano.... molto lontano .... soprattutto per Israele e Palestina".
- Quali sono, invece, le "cause" che raccolgono più interessa da parte dei donatori in questo periodo?
"Sarà perché tendiamo sempre più a chiuderci in noi stessi, sarà per la difficoltà sempre di più di ragionare in un'ottica etica e solidaristica globale ma le "cause" interne, italiane, "locali" riescono a creare attenzione ed interesse anche in questo contesto di gravissima crisi economica. In altre parole si registra molta più rispondenza e partecipazione a una raccolta fondi per un progetto in un quartiere di Napoli o Palermo che per la ricostruzione di Gaza o per i milioni di profughi che vagano per le strade di Libano, Siria, Iraq e Giordania".