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Se la carità dimentica la Palestina

07/11/2014  Le Ong registrano, e non da oggi, un forte calo di "partecipazione" per la sorte dei palestinesi. Vincono, nelle raccolte fondi, le cause "locali". E' giusto?

Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II.
Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II.

La Palestina e i palestinesi non sono più "di moda". Le Chiese del Medio Oriente continuano a chiedere ai pellegrini di andare in Terra Santa anche per non far mancare una fonte di lavoro e si battono per creare stabilità sociale e un minimo di benessere. In Occidente, invece, sembra crescere il disinteresse per la sorte di un popolo preso tra l'incudine delle tensioni interne e il martello dei rapporti internazionali. Ne abbiamo parlato con Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II, da molti anni impegnata in progetti di cooperazione allo sviluppo in Medio Oriente e in Terra Santa in particolare.

- E' vero che le raccolte fondi delle Ong per la ricostruzione di Gaza non stanno andando bene? E' un problema che riguarda nello specifico Gaza o tutta la questione Palestina?


"Generalmente, negli ultimi due anni in particolare, le campagne di raccolta fondi per la Palestina hanno registrato risultati non brillanti e i fatti di Gaza, pure nella loro gravità ed entità, non fanno purtroppo eccezione". 

- Quali sono, secondo lei, le ragioni?

"Premettendo che pressoché  tutte le emergenze umanitarie a livello internazionale hanno avuto risposte non adeguate a mio avviso le cause vanno individuate nella congiuntura sfavorevole ma anche in un generale calo di tensione e attenzione verso le molteplici situazioni emergenziali che a ritmo incalzante negli  ultimi tempi si registrano e verso le quali i media sempre più frequentemente producono un'informazione insufficiente o comunque "momentanea", che non aiuta per così dire a metabolizzare le vicende che in particolare nel vicino e medio Oriente sono strettamente legate tra di esse. A mio avviso anche l'assoluta ed incomprensibile (o forse anche troppo comprensibile) mancanza di una vera politica estera europea contribuisce non poco a mantenere sotto traccia questioni e problematiche molto più vicine a noi di quanto  non si possa pensare".

- Quanto influisce su questo il modo di raccontare la crisi di Gaza e il problema della Palestina da parte dei media?

"La questione palestinese si è talmente cristallizzata che, qualsiasi cosa accada in quella regione,  purtroppo non muove niente e nessuno in proporzione a quanto invece dovrebbe generare e ciò avviene appunto a partire dai media che oramai quasi stancamente e ripetitivamente ci raccontano le vicende di questa parte di mondo. Gaza non fa eccezione e non bastano le prime pagine di pochi giorni a ricentrare  l'attenzione della gente quando poi subito si dimentica (o si vuole scientemente dimenticare) e si passa ad altro. Ma ciò non riguarda solo la Palestina, è un problema generale che ci fa seriamente riflettere di cosa veramente significhi un'informazione libera e non condizionata. Ma qui il discorso ci porterebbe lontano.... molto lontano .... soprattutto per Israele e Palestina".

- Quali sono, invece, le "cause" che raccolgono più interessa da parte dei donatori in questo periodo?

"Sarà perché tendiamo sempre più a chiuderci in noi stessi, sarà per la difficoltà sempre di più di ragionare in un'ottica etica e solidaristica globale ma le "cause" interne, italiane, "locali" riescono a creare attenzione ed interesse anche in questo contesto di gravissima crisi economica. In altre parole si registra molta più rispondenza e partecipazione a una raccolta fondi per un progetto in un quartiere di Napoli o Palermo che per la ricostruzione di Gaza o per i milioni di profughi che vagano per le strade di Libano, Siria, Iraq e Giordania".       

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