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sabato 07 settembre 2024
 
 

Se la mamma s'arrende all'impotenza

22/12/2011  Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli analizza l'impotenza di una madre di fronte alla ribellione del ragazzo adolescente. E deve accettare che il figlio debba soffrire per capire.

Suo figlio vuole cambiare scuola e andare in quella dove notoriamente promuovono tutti. «Mi mostro molto seccata», racconta la mamma, «e gli faccio la predica sull’impegno, sullo spirito di sacrificio, ma rimane della sua idea. Porto esempi di ragazzi che poi se ne sono pentiti, ma lui si irrita. Mi chiede più soldi di quanti gliene possa dare per uscire a divertirsi con gli amici. Frequenta figli di papà con molto denaro in tasca, locali alla moda di Milano, lo sento al telefonino entusiasta mentre balla: qui ci sono delle belle “fagiane” (intese come belle ragazze).

Io gli ricordo che i soldi non vanno buttati, che qualcuno li guadagna con fatica, gli porto esempi di ragazzi viziati che non combinano nulla, lo proietto nel futuro facendogli intuire il bilancio che potrebbe trarre a 40 anni, ma nulla lo smuove. La domanda: perché credi che le ragazze del locale ti stiano intorno, non riceve nemmeno una risposta. Vuole una felpa da 400 euro e io faccio ricorso a tutto il mio buonsenso: uno sciocco rimane tale anche con la felpa costosa, non è l’abito che fa il monaco, insomma do fondo a tutto il repertorio classico per dissuaderlo. Risposta: non rompere, quando mi porti a comprarla?».

A questo punto la verità è evidente perché il figlio sta dicendo: voglio fare il minimo indispensabile e fare la bella vita. E anche: ho deciso che non ascolterò i tuoi consigli, farò di testa mia e non riuscirai a convincermi. Una verità, questa, così dolorosa da essere molto difficile da accettare. Il figlio sta dicendo “NO” ai consigli, alle raccomandazioni dei genitori, tanto vale partire da questa realtà. Senza negarla, pretendendo di fargli cambiare idea senza che lui lo voglia. È un momento drammatico, che precede e accompagna un passo invisibile e doloroso del genitore che si “arrende” e accetta la propria impotenza. La rabbia e l’esasperazione si trasformano progressivamente in delusione, preoccupazione, amarezza. Sono i tre chiodi che inchiodano alla croce dell’impotenza.

In molti casi è una croce che non si può evitare, si può solo decidere che farne. La si può trascinare maledicendola, o la si può portare sulla spalla, con dignità. La disperazione è data dalla pretesa di cambiare il figlio, di impedirgli di sbagliare, nel vano tentativo di evitargli errori e scelte che potrebbero costargli amarezze e fallimenti. Tutto molto comprensibile, certamente dettato dall’amore, ma inutile. Il genitore si sente come una mosca che sbatte contro il vetro. Deve accettare ciò che non vorrebbe: che il figlio debba soffrire per capire, attraversare il dolore delle conseguenze per diventare saggio. Di non poterlo risparmiare dal rischio, dal fallimento, dal male. Quanto è vero che le tenebre hanno il potere di rifiutare la luce. È il dramma dell’amore incompreso e rifiutato. A quel punto succede che il genitore guarda il crocefisso e capisce ciò che fino ad allora non aveva compreso fino in fondo.

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