Povere donne, povere mamme, povere, nonne… Mancava l’Istat a certificare che il Pil umano da loro prodotto è scarso. Per essere più precisi “il valore monetario attribuibile allo stock del capitale umano”, cioè la capacità di generare reddito delle medesime vale 231mila euro contro 453mila dei maschi.
Grandi titoli d’agenzia e di quotidiani a ribadirlo: “Un’italiana vale metà di un uomo” perché la capacità di generare reddito per le donne è ridotta quasi della metà (-49%), una differenza che secondo l’Istat “è da mettersi in relazione alle differenze di remunerazione esistenti tra uomini e donne, ma anche al minor numero di donne che lavorano e al minor numero di anni lavorati in media dalle donne nell'arco della loro vita''.
Le donne, dunque, non vanno forte sulla produzione di beni e servizi venduti sul mercato. Almeno quelle che sono occupate a “produrre” altri beni materiali, come i figli, o “immateriali”, come la cura dei suddetti o degli anziani, dei malati, dei portatori di handicap e peccato se, proprio grazie a loro (comprese tutte quelle che hanno rinunciato a un lavoro fuori casa o lo hanno dovuto interrompere…) il resto del mondo maschile può continuare a produrre i beni più facilmente calcolabili e lo Stato a risparmiare migliaia e migliaia di Euro.
Per amor di verità è lo stesso Istat a sottolineare che “poiché le donne prevalgono di gran lunga nel lavoro domestico”, le differenze di genere si riducono se si estendono le stime dello stock di capitale umano considerando le attività definite “non market”, che comprendono anche il lavoro domestico. A questo punto le donne si aggiudicano un valore pro-capite di 431 mila euro con un +12,3% rispetto alla componente maschile! Ma i titoli intanto hanno dato il loro giudizio…