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giovedì 30 marzo 2023
 
 

Sanità pubblica: se la conosci non la eviti

10/10/2013  Presentati i risultati di un progetto finanziato e coordinato da Asia Europe Foundation per avere un quadro generale dello stato di salute delle comunità cinesi e filippine a Milano

Proporre raccomandazioni per una migliore risposta ai bisogni di salute dei migranti cinesi e filippini da parte delle politiche di salute pubblica sul territorio di Milano: è l'obiettivo principale del progetto finanziato e coordinato da Asia Europe Foundation (Asef) attraverso le indagini della Fondazione Ismu. La ricerca è partita da uno studio delle concezioni, dei comportamenti e delle condizioni in ambito sanitario delle due comunità asiatiche per definire una sorta di quadro politico-istituzionale di riferimento; il passo successivo è stato stabilire le loro percezioni, il livello di informazione e le modalità di accesso e utilizzo delle risorse del Servizio sanitario nazionale (SSN); infine, si sono tratte delle conclusioni sulla base dell'analisi dei punti di forza e di debolezza dei servizi sanitari del territorio di Milano nel fronteggiare le esigenze di questo crescente "bacino d'utenza", indicando, dove possibile, strategie di miglioramento. Il primo dato che emerge con chiarezza, con tutti gli inevitabili limiti dovuti a una ricerca che ha assunto sin da subito carattere prevalentemente esplorativo, è senza ombra di dubbio il fatto che molti bisogni sanitari delle popolazioni cinese e filippina hanno la tendenza a non essere riconosciuti e presi in carico dalla società italiana. In altre parole, si lascia alle comunità stesse l'onere di risolvere in modo autonomo e con modalità spesso inadeguate i problemi sanitari che insorgono di volta in volta.

I gruppi che sono stati oggetti dello studio, pur profondamente diversi per storia d'immigrazione e adattamento alla nuove realtà, presentano alcune punti in comune: su tutti, l'anzianità migratoria e un'identità fortemente connotata dall'appartenenza al Paese d'origine. Inoltre, entrambe le comunità sono entrate nel mercato del lavoro occupando in maniera massiccia "nicchie" che se da un lato  rappresentano un approdo sicuro per i nuovi arrivati, dall'altro ostacolano percorsi di emancipazione e integrazione nel sistema Italia.

Ecco alcune peculiarità della ricerca. Per quanto riguarda la comunità cinese è stata riscontrata una difficoltà consistente nella fase di accesso ai servizi: il 45% del gruppo raggiunto dai questionari ha dichiarato di non essersi mai rivolto al Servizio Sanitario Nazionale tra ottobre 2010 e ottobre 2011. La ragione principale addotta è la mancata necessità, per assenza di malattia o percezione di non gravità dello stato patologico. Si tratta di un dato che per certi versi aggrava e rende ancora più problematico il contesto: intanto si certifica l'esistenza di una barriera linguistica all'apparenza insormontabile, dato che anche i figli in qualità di interpreti non sono sufficienti a rispondere al problema che, anzi, complica la situazione da un punto di vista psicologico. Certo, chi può paga un connazionale per fare da interprete... non è esattamente così che dovrebbe andare. I mediatori linguistico-culturali, per ora, riguardano ancora rari casi privilegiati afferenti essenzialmente all'area materno-infantile. Molti operatori ritengono le malattie sessualmente trasmissibili una problematica rilevante per la comunità, oltre che sommersa e di difficile approccio per via di una forte stigmatizzazione. L'epatite B, dicono i dati, ha raggiunto allarmanti livelli di diffusione. 

A questo quadro si aggiungono due elementi: il primo di carattere storico-culturale, un retaggio molto radicato che porta i migranti a guardare con sospetto la "macchina pubblica"; dall'altra, però, ve registrata una certa complessità del nostro apparato burocratico che regola l'accesso e la fruizione dei servizi stoppando sul nascere o quasi percorsi terapeutici necessari. Su tutti la lentezza, percepita come segno indiscutibile di trascuratezza e inefficacia. Anche in questa logica va letto il dato che rende conto di una significativa affluenza dei cinesi ai reparti di emergenza. Un dato è interessante: secondo quanto emerso dalle interviste ai policy maker, i medici di base non segnalano l'urgenza di adeguare i servizi di cure primarie alle esigenze dell'utenza migrante. Probabilmente perché solo il 10% del gruppo intervistato ha dichiarato di ricorrervi spesso.

Come si curano, dunque, i cinesi? Intanto le loro erboristerie, botteghe che commercializzano medicamenti della tradizione ma anche farmaci allopatici importati illegalmente dalla Cina: la pratiche di automedicazione sono diffusissime. La professionalità dei gestori delle erboristerie non è però soggetta ad alcuna verifica: la medicina cinese non è riconosciuta in Italia. Accade così che data la scarsa accessibilità del SSN e l'inadeguatezza dell'alternativa infra-comunitaria, in caso di patologie gravi, molti cinesi scelgono la via del rientro in patria.

Per quanto riguarda la comunità filippina, nonostante alcuni punti in comune con quella cinese, colpisce lo sfasamento tra le reciproche percezioni degli operatori sanitari e dei migranti. Agli occhi dei primi l'utenza filippina è ben integrata e socializzata al servizio favorita da buone competenze nell'italiano e nell'inglese e da atteggiamenti descritti come accomodanti, addirittura empatici. Il punto di vista della comunità, invece, non è altrettanto positivo: regnano malcontento e sfiducia verso il sistema sanitario, oggetto e preso di mira con un'ampia gamma di battute sarcastiche. Un grado di soddisfazione piena che raggiunge a stento l'11% del campione: la parte restante, a seconda dei casi, mette in discussione le competenze tecniche degli operatori, criticati per la mancanza di cortesia e sensibilità e per gli atteggiamenti talvolta discriminatori, oltre che per le scarse competenze nella comunicazione interlinguistica e interculturale.

La presunta "occidentalizzazione" dei filippini, fatta risalire alla buona conoscenza dell'inglese e a certi atteggiamenti "esteriori", porta a sottostimare i pericoli delle incomprensioni dovute alle differenze culturali che rimangono nettissime nella sostanza. A differenza della comunità cinese, inoltre, non si rileva nemmeno l'esistenza di un sistema di cure parallelo interno alla comunità salvo che per la categoria dei dentisti, molti dei quali praticano illegalmente. 

Al fine di frenare il dilagare di uno scetticismo controproducente per il benessere sociale, è dunque urgente attuare misure efficaci per promuovere la fiducia verso i servizi. Nelle sfide poste dall’utenza migrante il SSN ha adottato, negli anni, un approccio tendenzialmente universalistico. Ricorre la considerazione che, nel quadro di un panorama migratorio assai variegato, sia impossibile elaborare risposte differenziate, tarate su ogni singola situazione. L’affinamento e l’esercizio di competenze interculturali da parte del personale sanitario paiono le strategie più sostenibili. Si tratta di una soluzione certamente valida, per certi versi attuabile e assolutamente legittima. Tuttavia, questa linea di ragionamento è il frutto di un’esperienza maturata negli anni a contatto con le comunità etniche più visibili e pronte ad esprimere bisogni e rivendicazioni. Così, la questione della mancanza di fiducia nel sistema sanitario, da parte di comunità che in silenzio fanno autonomamente fronte ai propri bisogni, non si è mai posta né è stata affrontata. È proprio questo, invece, il nuovo fronte di riflessione e sfida aperto dalla presente ricerca.

 
 
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