Di fronte alla portineria del condominio
un cartello segnala l’ingresso
dell’Emporio della solidarietà.
Pochi gradini verso il seminterrato,
si entra in un vasto
locale, sobrio e illuminato: due corridoi
e scaffali di generi alimentari di ogni
sorta, pasta, cibo in scatola, prodotti
per i neonati. Un supermarket a tutti
gli effetti, rivolto a una clientela specifica:
persone e famiglie in difficoltà economica.
Siamo a Cesano Boscone, hinterland
milanese, periferia sud-est della
città.
L’Emporio solidale della Caritas
ambrosiana, gestito dalla Cooperativa
sociale Ies (Impresa etica sociale), è nato
all’inizio del 2014 per volontà di don
Massimo Mapelli, responsabile Caritas
della zona 6 di Milano. «L’Emporio già
esisteva in altre città, come Roma e Prato
», spiega don Massimo, «nella diocesi
ambrosiana è il primo».
Al supermercato della Caritas, aperto
tre mattine a settimana, arrivano persone
segnalate dai Centri di ascolto alle
quali viene fornita una tessera a punti
caricati spendibili nell’arco di un mese.
All’Emporio fanno acquisti 750 famiglie
della zona. «Questo servizio non risolve
il problema del reddito, è una soluzione
temporanea, che si inserisce in
una progettualità di assistenza più ampia
». Il supermarket solidale diventa, così,
un modo per tamponare la difficoltà
di arrivare alla fine del mese, salvaguardando la dignità delle famiglie.
«Tutti i generi alimentari ci vengono
donati dalle aziende e dai grandi distributori
», raccontano i volontari. «Abbiamo
una lista di una quindicina di
prodotti di prima necessità che non devono
mai mancare».
Come farina, pasta,
riso, olio, sale, legumi. «Se uno di
questi si esaurisce, non se ne può fare a
meno». E allora, bisogna trovare il modo
di riacquistarlo. Far quadrare i conti
è sempre difficile: ci si affida alla generosità
dei donatori. Ma più di tanto non
si può chiedere. La coperta si tira da
una parte e dall’altra, coprire tutto è
sempre un’impresa.
Il rischio di un vuoto
Ancora più complicata
se la Legge di stabilità taglia i
fondi per il sostegno alimentare ai più
bisognosi. «Noi così perdiamo circa il
30-35 per cento dei nostri finanziamenti.
Una cifra altissima», osserva
don Massimo. «È evidente che sul problema
della povertà c’è un disinvestimento,
che rischia di creare un vuoto
gravissimo. Noi di Caritas proponiamo
l’introduzione del reddito di inclusione
sociale (tutte le famiglie che vivono in
povertà assoluta riceverebbero una
somma pari alla differenza fra il proprio
reddito e la soglia Istat di povertà
assoluta, ndr), ma al momento non sono
previsti provvedimenti del genere».
Cosa fare, allora? «Non possiamo
certo chiudere il servizio. In un momento,
poi, in cui il bisogno aumenta: i dati
mostrano che le nuove povertà sono in
crescita. Aumentano i cittadini italiani
che chiedono aiuto alle strutture di assistenza
e alle parrocchie. Dobbiamo andare
avanti». Anche con il sostegno di
altre realtà solidali. Come, ad esempio,
la Onlus Qui Foundation che in varie
città porta avanti il progetto “Pasto buono”,
per il recupero delle eccedenze alimentari
degli esercizi commerciali.
Dalla collaborazione fra Emporio e Qui
Foundation nel 2015 partirà un grande
progetto solidale antispreco a Milano.
«“Pasto buono” non riceve finanziamenti
di natura pubblica, non li abbiamo
nemmeno mai chiesti», chiarisce il
presidente di Qui Foundation Gregorio
Fogliani. Che indica un percorso alternativo:
«Siamo convinti che una strada
più proficua sia mettere a punto dei
meccanismi di agevolazione fiscale per
chi dona. La defiscalizzazione sarebbe
anche un doveroso riconoscimento verso
coloro che si impegnano a diminuire
lo spreco alimentare»