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venerdì 16 maggio 2025
 
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«Se Matteo Messina Denaro parlasse si dovrebbe riscrivere la storia della mafia»

26/01/2023  A colloquio con lo storico Giuseppe Carlo Marino: «La lunga latitanza di un boss del genere è una specie di grande “buco nero” dentro il quale ci sono parecchi misteri irrisolti della storia nazionale»

Giuseppe Carlo Marino.
Giuseppe Carlo Marino.

Negli anni Ottanta, Matteo Messina Denaro (il boss di Castelvetrano arrestato dopo l’operazione coordinata dalla Procura di Palermo e dal Ros dei Carabinieri) partecipava alle feste della “Palermo bene”, secondo quanto narrato in questi giorni da alcuni professionisti siciliani, all’epoca studenti di Medicina. Negli anni Novanta, conversava di filosofia con un politico da lui soprannominato Svetonio e commemorava il padre (l’anziano patriarca Francesco Messina Denaro) con citazioni latine. Inoltre, da capomandamento della Provincia di Trapani, era rammaricato per non avere proseguito gli studi e per non essersi laureato.

L’identikit tracciato induce lo storico Giuseppe Carlo Marino (autore di “Storia della mafia”, “Padrini” e altri importanti saggi) a rievocare noti boss palermitani degli anni Sessanta e Settanta, che avevano studiato nelle migliori scuole private di Palermo e frequentavano i salotti borghesi e aristocratici.

Professore Marino, l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro segna un colpo imponente contro il simbolo di quella mafia manageriale e affarista da sempre collegata a potentati economici e all’alta borghesia….

“Matteo Messina Denaro è il rappresentante di una tipologia mafiosa che potremmo definire innovativa rispetto alla precedente, perché è così legata a un certo tipo di imprenditoria di evidente natura capitalistica (compreso il capitalismo finanziario), al punto tale da rendere persino difficile continuare a chiamarla mafia in senso tradizionale”.

Dalle cronache emerge come Messina Denaro frequentasse la buona società, avesse un tenore di vita elevato, indossasse vestiti alla moda e orologi di valore, amasse la vita mondana, i divertimenti e fosse soggetto al fascino femminile. Quindi, da storico, accosterebbe la sua figura alla borghesia mafiosa dell’epoca del medico Michele Navarra e del politico don Calò Vizzini, oppure ai boss della mafia militare come Riina e Provenzano?  

“Quanto a “stile di vita” lo accosterei soprattutto ad un suo omologo più lontano nel tempo e piuttosto dimenticato come Stefano Bontate, boss della mafia storica precorleonese (noto come “il Principe di Villagrazia”, ndr.), anche se alcuni tratti della sua biografia richiamano certamente, almeno per l’ambiente agricolo nel quale si formò come padrino, Calogero Vizzini (soprannominato in siciliano come Don Calò). Ma rispetto a Don Calò, Matteo Messina Denaro ha acquisito nettamente nel tempo piuttosto le stigmate del “mafioso di città” sulla base di un’esperienza criminale intrecciata agli interessi del malaffare borghese, quelli dei cosiddetti colletti bianchi. Il principale tratto distintivo della sua attività è stato, a mio avviso, infatti, quello dell’uso mafioso della corruzione: un terreno nel quale mafiosità e corruzione (sia nel privato che nel pubblico) sono così intrecciate da rendere assai difficile distinguerle separando nettamente l’una dall’altra”.

 Come è possibile che la “primula rossa di Castelvetrano” abbia vissuto in latitanza per ben 30 anni?

“Domanda assai inquietante, e destinata ad ipotesi di ogni tipo, ma non a risposte certificanti. Del resto, alla pari degli interrogativi sollevati, nella recente storia della mafia, da casi analoghi per lunga durata di latitanza come quelli di  Riina e di Provenzano, evidentemente c’è da supporre sensatamente , pur mancando le prove in proposito,  che si tratti di latitanze in concreto accettate e consentite molto in alto da Poteri forti interessati a difendere certi equilibri di affarismo-corruzione-mafia decisamente incisivi  sulla strategia  perseguita da talune  forze infedeli o “deviate” dello Stato, capaci di paralizzare quelle sane e impegnate diligentemente nel servizio alla legalità e all’ordine pubblico.  In altri termini, le cosiddette primule rosse devono il loro successo molto più a certe interessate e potenti protezioni che alle loro personali capacità di eludere la legge e di sottrarsi all’azione repressiva dello Stato. E’ questa una storia molto vecchia in Italia, nel rapporto tra mafia e poteri politici: tra i primi ad avvedersene precocemente (come documento in un mio libro) vi furono i cattolici dell’immediato postRisorgimento, in rotta con il cosiddetto Stato liberale”.     

 C’è chi sostiene che se in futuro Matteo Messina Denaro si pentisse e collaborasse con la giustizia, si potrebbe riscrivere la storia degli ultimi 50 anni e si potrebbe far luce su mezzo secolo di delitti eccellenti e stragi. Concorda con questa analisi?

“Altro che se concordo con questa analisi! La condivido pienamente. La lunga latitanza di uno come Messina Denaro è una specie di grande “buco nero” dentro il quale ci sono parecchi misteri irrisolti della storia nazionale”.

Anche in relazione all’arresto di Messina Denaro, in molti settori del mondo politico e mediatico si parla sempre di “criminalità organizzata”, un termine da lei contestato nella sua pluridecennale attività di storico del fenomeno…

“Ciclicamente si commette lo stesso errore semantico che in realtà, a mio avviso, è un errore sostanziale, non formale. Come ripeto da sempre, la mafia si deve chiamare mafia, non criminalità organizzata.  Fin dalle sue origini, infatti, la mafia è stata complice dei ceti dominanti e non AntiStato o forza antagonista; si è trattato di una forza sociale, impostasi anche come forza politica, che ha sistematicamente utilizzato la criminalità per il perseguimento e l’autotutela degli interessi dei ceti privilegiati. In origine, si trattava degli interessi e dei privilegi dei baroni e dei latifondisti.  Successivamente, con i cambiamenti sociali e politici, la mafia curava gli interessi e i privilegi della borghesia agraria parassitaria costituita dai cosiddetti gabelloti (gli affittuari dei latifondi); per poi approdare alla borghesia corrotta dell’amministrazione pubblica e delle professioni, fino ai recentissimi colletti bianchi sempre più protagonisti dei recenti processi di mafia nei tribunali”.

Dopo l’arresto di Messina Denaro, si susseguono gli appelli alla legalità, un altro termine da Lei spesso contestato…

 “Premessa la buona fede di molti fautori degli appelli alla legalità, preciso, però, che storicamente i veri poteri mafiosi non sono necessariamente ostili alla legalità; semmai, hanno una grande necessità di appropriarsene il più possibile in termini di consenso e di prestigio, soprattutto se si tratta di una legalità dai caratteri e dalle vocazioni classiste, cioè costruita a tutela di un sistema di privilegi.  Ovviamente i boss utilizzano la retorica della legalità in modo del tutto strumentale e finché non entri in insanabile conflitto con i loro specifici interessi. Vi è un altro aspetto da considerare. Non sempre la legalità formale risulta in concreto degna di ubbidienza, e così accattivante, da meritare di essere universalmente perseguita. Non è raro, infatti, che la legalità formale nella sua sostanza sia, per così dire, illegale. Questo accade con certezza laddove si registri sia una dilagante corruzione, sia un evidente connubio delle forze mafiose con la politica e con l’amministrazione. A tal punto da rendere formalmente legalitari gli stessi mafiosi. Infine, si può scommettere che quasi tutti i colletti bianchi della mafia si definiscano legalitari e si contrappongano alla criminalità”.  

 

(Immagine in alto: nel covo di vicolo San Vito a Campobello di Mazara, ultimo rifugio del boss Matteo Messina Denaro, i carabinieri hanno trovato anche una pistola revolver "Smith & Wesson" calibro 38 special, completa di 5 cartucce. Foto ANSA)

Multimedia
Il video dell'arresto di Matteo Messina Denaro
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