Cristina è stata partorita 18 anni fa all’Istituto Figlie del San Camillo di Roma da genitori nati in Italia. Ha sempre vissuto nella Capitale, non è mai uscita dalla Penisola, tutta la famiglia ha il permesso di soggiorno. Eppure, quando è diventata maggiorenne e ha fatto domanda di essere riconosciuta come italiana, lo Stato le ha risposto “no”. Il motivo? Cristina è disabile. La sua amara vicenda conferma, ancora una volta, quanto la legge attuale sia ingiusta.
In realtà la ragazza, dopo 18 anni, 9 tentativi e (tanti) documenti in regola, è dal 2017 italiana. Merito della caparbietà della famiglia, degli amici della Comunità di Sant’Egidio e di un giudice sensibile. Insieme hanno aggirato le maglie della burocrazia e le assurdità della legge.
Suo padre Sandokan Halilovic conosceva sulla propria pelle cosa vuol dire essere “stranieri a casa propria”: «Sono diventato maggiorenne nel 1994: per la cittadinanza serviva un documento rilasciato dal Paese dei miei genitori, la Bosnia, che all’epoca era sconvolto dalla guerra nei Balcani». Compiuto il diciannovesimo anno, la legge prevede infatti che “gli italiani senza cittadinanza” non possano più fare richiesta. Così, in attesa dei documenti dai Balcani trivellati dai cecchini, Sandokan perse quell’opportunità.
A Cristina stava succedendo la stessa cosa. «Nonostante fosse una persona “fragile”, che la sociologia definirebbe “a rischio di discriminazione multipla”: disabile, rom e donna», aggiunge Paolo Ciani della Comunità di Sant’Egidio. Racconta il padre: «Poco prima che compisse i 18 anni, sono stato all’Anagrafe di Roma per avvisare che mia figlia, stante la sua disabilità, non parla ma fa capire i suoi bisogni grazie a una scheda su cui indica sì e no. Inizialmente mi hanno detto che non c’erano problemi».
Quando però arriva il momento giusto, gli impiegati rivelano imbarazzati che i regolamenti non prevedono questi casi. Ecco una delle ingiustizie di questa legge: per i ragazzi nati e cresciuti in Italia, la cittadinanza non è un diritto, neppure quando compiono i 18 anni, ma una concessione. E allora, per chiudere con esito negativo la pratica, alla famiglia di Cristina viene obiettato: «La norma prevede che la persona esprima la volontà di diventare cittadina». La sua vicenda ricorda quella di Cristian Ramos (anche lui nato a Roma da madre colombiana e padre italiano che però non lo aveva voluto riconoscere), a cui nel 2013 venne negata la cittadinanza perché down. «Non poteva giurare fedeltà alla Costituzione», si disse allora evidenziando la differenza tra ciò che veniva preteso da lui e non ai suoi coetanei – italiani di diritto – con cui era cresciuto.
Al padre di Cristina venne quindi spiegato che lo Stato non considera una ragazza disabile idonea a presentare la richiesta. Sandokan tuttavia non si è rassegnato all’ingiustizia, facendo nuovi tentativi insieme a Sant’Egidio. Alla fine l’unica strada rimasta era che lui diventasse amministratore di sostegno, ma i tempi sarebbero stati troppo lunghi: trascorso il diciannovesimo compleanno, per la legge Cristina avrebbe perso la possibilità di chiedere la cittadinanza, così come era successo proprio a Sandokan.
Per fortuna in Tribunale un giudice sensibile si prende a cuore la questione e accorcia l’attesa: il padre torna subito all’Anagrafe e presenta la domanda. Così la ragazza diviene italiana: senza alcuna solennità, come una pratica evasa... Intanto, con la famiglia e gli amici, Cristina organizza una grande festa mostrando i suoi sorrisi migliori. «Ma ora», spiega Paolo Ciani di Sant’Egidio, «la buona notizia si attende dal Senato: deve riformare una legge antiquata, ingiusta e pericolosa perché nemica dell’integrazione di migliaia di persone che da anni in Italia risiedono e lavorano senza essere riconosciuti come cittadini».