Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
venerdì 04 ottobre 2024
 
 

Se Verdi scrivesse oggi i "Vespri"...

21/03/2011  La regia di Davide Livermore impone una forte e discutibile attualizzazione al capolavoro del compositore, trasferendolo nella Sicilia di oggi, con la strage di Capaci e tv ovunque...

   Non proprio dimenticare Verdi, se uno pensa ai “suoi” Vespri siciliani, ma piuttosto guardarlo tramite la lettura particolare che ne ha fatto Davide Livermore, regista dello spettacolo andato in scena al Teatro Regio di Torino nel 150° della proclamazione del Regno d’Italia. Preso atto della consuetudine di stravolgere ogni canone storico e ambientale, la tesi di Livermore si fonda su «una riflessione, severa e disincantata, di Verdi sul suo tempo e sul nostro essere italiani».

   Con un discutibile salto generazionale e culturale, che esigerebbe però più chiarezza di propositi e di esposizione, ci troviamo nella Sicilia di oggi, dove a metà del secondo atto si avverte lo stridente contrasto fra la tarantella festaiola e i lugubri relitti della strage di Capaci. Chiarissima, dal principio alla fine dello spettacolo, è invece l’insistente presenza televisiva, a testimoniare l’odierna schiacciante supremazia mediatica. Detto tutto ciò, non era però agevole, anzi quasi impossibile, districarsi fra il potere visibile dei “cattivi”, quello più o meno occulto della mafia e l’aspirazione alla libertà dei popolani asserviti. Alla fine dell’opera costoro si tolgono una maschera dal volto per lasciare il passo non già al massacro dei presunti francesi, ma a un Parlamento che esprime la sovranità del popolo.

   Che tutti gli spettatori abbiano realmente compreso il significato del messaggio e, soprattutto, la sua esemplificazione registica è difficile da credere, come del resto si è arguito dalla sia pur moderata contestazione finale. Tutti concordi, invece, nel riconoscere il valore musicale dello spettacolo, cui hanno più o meno validamente contribuito il vibrante concertatore e direttore Gianandrea Noseda, il coro istruito da Claudio Fenoglio, e i quattro principali solisti: Sonda Radvanovsky, Gregory Kunde, Franco Vassallo, Ildar Abrdazakov.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo