Lo studente hacker che ha truccato i registri della sua scuola, ritoccando i voti dei compagni all’insù (i suoi erano già alti) e trafugando in anticipo le tracce dei compiti in classe, alla fine avrà imparato la lezione: violare le regole in Italia conviene. Un’azienda lo vorrebbe assumere e ha contattato un avvocato per dargli una mano nelle vie legali, dal momento che la scuola lo ha denunciato.
Vien da chiedersi come si sentiranno gli insegnanti, i dirigenti scolastici, i genitori che in tutto il Paese si sgolano controcorrente per far capire ai ragazzi che, se sapere conta, saper stare alle regole della cittadinanza, nella vita, conta anche di più. Basta un caso di cronaca per smentire tutto e affidare le loro parole, magari anche il loro esempio, al vento, dimostrando che nei fatti in questo Paese pagano l’astuzia e la disonestà, la violazione delle regole e la spregiudicatezza. Vero sarà che il ragazzo ci sa fare e che i voti ritoccati non erano i suoi, però il messaggio non sembra molto educativo.
Gli alunni che hanno solo studiato, e avuto voti non truccati farina del loro sacco, avranno la sensazione di doversi cercare un altro posto nel mondo, perché qui per loro non c’è diritto di cittadinanza. C’è chi scomoda l’America e Steve Jobs, ma nessuno dice che oltreoceano barare a scuola con voti e compiti è un’infamia stigmatizzata dall’intera società. Poi, certo, sono in tanti a preoccuparsi perché in Italia, dove l’economia annega nella sregolatezza, nella corruzione e nei rapporti pelosi con la criminalità organizzata, nessuno straniero è tentato di investire. La nostra immagine pubblica nel mondo evoca la tendenza alla trasgressione, non siamo giudicati affidabili. Chissà perché?
Poi magari un giorno ci sveglieremo in bancarotta. E a quel punto non sarà consolante per quegli insegnanti la soddisfazione di Cassandra. Nel frattempo non è rarissimo sentire al bar persone che si vantano, compiaciute della propria astuzia e della propria abilità, di avere costruito cose utili senza uno straccio di permesso con lavori tutti in nero e buona pace dei concorrenti leali. Quando, però, un magistrato antimafia ricorda che, finché troppi imprenditori troveranno conveniente la protezione della mafia rispetto a quella dello Stato, la mafia continuerà a strozzare, l’imprenditoria s’adonta, accusando di scorrettezza quelle parole. E’ certo sbagliato fare di tutta l’erba un fascio, ma sembra chiaro che finché tutto intorno si sdogana l’irregolarità passa il messaggio che la disonestà conviene.
E gli insegnanti, il magistrato, gli onesti restano soli a chiedersi, invano, se davvero, prima di premiare le sue innegabili capacità, non sarebbe stato opportuno trovare un modo intelligente di far capire a quel ragazzo, abilissimo con i Pc, che l’abilità è un grande valore, ma non giustifica comportamenti scorretti. Lasciarli soli a concludere che non interessava a nessuno, tranne che a loro, rimasti, in minoranza, senza corazza contro i mulini a vento, è un modo di ammettere che la rabbia che monta contro la casta è sterile, perché troppa parte della cosiddetta società civile se fosse al posto della cosiddetta casta sarebbe disonesta quanto la casta che a parole detesta e nei fatti un po’ ammira.