Una volta era Sebastian Coe, un mito del mezzofondo. Adesso è Lord Coe,
l’uomo che sta sul ponte di comando di Londra 2012. Le Olimpiadi, il suo
pane. Vissute da atleta, percorrendo strade lastricate d’oro (due primi
posti nel 1500, a Mosca e Los Angeles). E ora, dall’altra parte della
barricata, leader del comitato organizzatore.
- Lord Coe, la strada è stata
lunga ma ormai è in dirittura d’arrivo: che cosa manca?
"I lavori sono
praticamente ultimati, ma resta altro: fare in modo che agli atleti non
manchi nulla. Portati a termine i lavori, bisogna assicurarsi che tutto
funzioni alla perfezione".
- Guarda ancora alle Olimpiadi con gli occhi
dell’atleta?
"Un po’, forse. Ma è normale che si pensi ai protagonisti
dell’evento. In fin dei conti, sono le gare che contano, quindi gli atleti:
fare in modo che possano vivere la competizione al meglio deve essere una
priorità".
- Una questione di esperienza personale, visto che ha vissuto in
prima persona Olimpiadi del boicottaggio?
"No, quella è una questione
differente, che non investe l’organizzazione ma altri temi, come la
politica".
- Come si fa a organizzare un evento simile?
"Impegno, lavoro,
dedizione".
- Quale dovrà essere la reale essenza dell’Olimpiade di
Londra?
"Il multiculturalismo, che poi è una delle grandi caratteristiche
della capitale inglese. Londra è città multirazziale per eccellenza, una
prerogativa che vogliamo tradurre in questo evento: tutti gli atleti, da
qualunque zona del mondo provengano, dovranno sentirsi uguali".
- Sembra
stia diventando una regola: solo le metropoli possono ospitare eventi di
questo livello?
"Probabilmente sì, ma non per una questione di grandezza,
piuttosto per i servizi che una grande città come Londra o altre possono
offrire, in termini di infrastrutture, trasporti, sicurezza".
- Peraltro,
Londra sarà alla sua terza Olimpiade: differenze con le altre?
"Differenze
enormi, com’è logico che sia. Le altre si sono svolte in tempi lontani, e
ognuno ha avuto le sue caratteristiche. Quella del 1908 fu la prima in cui
uno stadio fu costruito appositamente per l’evento. Quella del 1948 non
poteva non essere condizionata dalla guerra appena finita: fu un’Olimpiade
“povera”, per certi versi".
- Allora la guerra, ora il rischio terrorismo:
preoccupato?
"Più che altro consapevole che quello della sicurezza è un punto
importante, anzi la vera priorità. Poi, è naturale, ognuno ha le sue idee:
per quanto ci riguarda ci teniamo allo spirito olimpico, quindi non vogliamo
che ci sia una Londra militarizzata. Sicurezza sì, ma senza sottrarre
libertà di movimento e voglia di socialità. E Londra in questo è preparata:
vive quotidianamente la sua lotta al terrorismo, senza che la vita della
gente ne sia ostacolata".
- Rispetto a Pechino cosa cambierà?
"Qualcosa che è
insito nelle peculiarità delle due città: Londra è città vivace,
culturalmente aperta, molto intraprendente. E ciò non potrà non influenzare
positivamente l’Olimpiade e la gente che la seguirà".
- Cosa lasceranno le
Olimpiadi alla città di Londra?
"Oltre che uno splendido ricordo, come sempre
per eventi del genere, alcune nuove ricchezze, quella della crescita
dell’East End, una zona da sempre depressa, che si avvarrà di strutture e
infrastrutture in grado di cambiarne il volto e le abitudini, e quella di
migliaia di ragazzi britannici che vedranno in questo evento l’impulso per
avviarsi alla pratica sportiva".