“Perché non accada mai più”: ogni anno, puntualmente alla ricorrenza di quel tragico 3 ottobre 2013, lo si ripete, ma invano. E anche oggi qualcuno lo ha ostinatamente ripreso. Sei anni fa, uno dei tanti barconi di “disperati” stracarico di migranti, partiti dalla Libia, a mezzo miglio da Lampedusa, si ribaltava e si inabissava, portandosi dietro un carico di morte: vi perirono 368 persone, quasi tutti eritrei, 20 furono i dispersi, 155 i superstiti tra cui 41 minori, la gran parte non accompagnati, salvati dalla Capitaneria di porto e dai pescatori dell’isola, accorsi sul luogo. In quella notte (erano circa le 3 e 30), a pochi metri da terra, si consumò una delle più grandi tragedie del mare, il maggior olocausto di migranti da quando sono iniziati i “viaggi della speranza” dalle coste africane a quelle europee. Moltissime le polemiche che scoppiarono riguardo le operazioni di salvataggio e il recupero dei corpi che proseguì per nove giorni. Versioni diverse si scontrarono, anche nelle aule dei tribunali, fino alle condanne del 2015. A seguito della strage sarebbe pure partita l’operazione “Mare Nostrum”, voluta dall’allora Presidente del Consiglio, Enrico Letta, allo scopo di garantire la salvaguardia della vita in mare e arrestare gli scafisti. Per questa ragione vennero impegnati mezzi di Marina militare, Guardia costiera, Aeronautica e Guardia di Finanza.
Viaggi e naufragi, comunque, non si sono mai fermati, fino a ieri. Fino a oggi. Ancora la notte scorsa la Guardia Costiera ha tratto in salvo ancora altre 71 persone, tra cui due donne e un bambino. Così pure la triste conta dei morti, da allora, non si è mai fermata: sono oltre 18 mila i migranti, tra cui moltissimi bambini e adolescenti che, da quel 2013, sono periti in Mediterraneo, e cioè più della metà dei morti sulle rotte migratorie di tutto il mondo (oltre 33 mila). Infatti, secondo i dati riportati dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, il Mediterraneo è l’area dove muoiono più migranti nel pianeta: nel 2014 sono state 3.283 le morti accertate, 3.782 nel 2015, 5.143 nel 2016, 3.139 nel 2017, 1.839 nel 2018 e 953 al 18 settembre scorso.
Oggi per non dimenticare quella strage silenziosa si sono dati appuntamento a Lampedusa tanti giovani e associazioni, in marcia verso l’isola “Porta d’Europa”. Qui sono sbarcati più di duecento studenti di 60 scuole, provenienti da 20 diversi Paesi europei, per un progetto coordinato da Unchr, Oim, Medici senza frontiere, Save the children, Amnesty International, Associazione nazionale vittime civili di guerra, Cisom, Legambiente Lampedusa, Esther Ada. In trenta città europee sono state organizzate iniziative per promuovere la petizione che chiede alle istituzioni europee che il 3 ottobre, Giornata nazionale delle vittime dell'immigrazione, diventi la "Giornata europea della memoria e dell'accoglienza".
Le iniziative sono promosse nell'ambito del progetto comunitario “Snapshots from the Borders”, che vede proprio il comune di Lampedusa e Linosa quale ente capofila, Lo slogan significativo è: "Siamo sulla stessa barca". Si incontrano alcuni dei superstiti e si frequentano laboratori internazionali su diritti dei migranti e dei rifugiati, soccorsi in mare.
“Non si tratta del ricordo di un evento passato, ma di una tragedia che continua, perché, anche se nel silenzio dei media e nell’indifferenza dei più, ogni giorno continuano a morire nel Mediterraneo persone che fuggono da guerre, miseria, violenza”, ha affermato don Giovanni De Robertis, direttore generale della fondazione Migrantes. “Ma, ci ha ricordato il Papa domenica scorsa nell’omelia per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato “come cristiani non possiamo essere indifferenti di fronte al dramma delle vecchie e nuove povertà, delle solitudini più buie, del disprezzo e della discriminazione di chi non appartiene al “nostro” gruppo. Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire. Chiediamo al Signore la grazia di piangere, quel pianto che converte il cuore davanti a questi peccati (…)”. La memoria di oggi sia per ciascuno di noi occasione per non distogliere lo sguardo da queste persone e per ottenere la grazia del pianto e di un impegno fattivo verso di loro”.