L'Auser nazionale ha appena pubblicato il V rapporto su Enti
locali e Terzo settore per inquadrare i cambiamenti del Welfare in Italia. La
prima considerazione che si evince dai dati è che il settore pubblico è
costretto a fare un passo indietro, forse due. E proprio per questo il Terzo
settore, in tutte le sue forme, diventa strumento indispensabile nella gestione
dei servizi alla persona. In un'ottica di esternalizzazioni, la percentuale dei
servizi sociali gestiti direttamente dai Comuni cala complessivamente al 42%:
nel Nord-Ovest, addirittura, la riduzione arriva fino al 24,2%, mentre al Sud
si arriva a quota 54%. In aumento, invece, le convenzioni con il volontariato.
Il problema che si pone, a questo proposito, è cercare di inquadrare meglio dal
punto di vista normativo i ricorsi al Terzo settore che non può e non deve
essere la ruota di scorta di un sistema solo perché costa meno. Gli ultimi dati
raccolti, infatti, raccontano proprio questa verità: un'indagine sui bandi di
concorso e capitolati d'appalto, indetti da Comuni da ottobre 2011 a marzo 2012,
parlano di un'erogazione di prestazioni sociali mediante contratti atipici.
Ulteriore testimonianza della piega che sta
prendendo il Welfare italiano sono i buoni lavoro, nella forma del lavoro
accessorio. Negli ultimi due anni sono cresciuti esponenzialmente al punto che
può essere ormai considerata la modalità prevalente di reclutamento del
personale: accessorio un bel niente, dunque, perché più che integrare un
servizio, lo si sostituisce. Il Rapporto dell'Auser ha preso in esame 216
procedure di assunzione:bene, solo 34 hanno previsto assunzioni a tempo
indeterminati, 56 contratti a tempo determinato, 48 collaborazioni a progetto,
coordinate e continuative, ben 78 contratti di collaborazione occasionale con
erogazione di voucher proposti.
Ecco qualche dato numerico complessivo: oltre ai paletti
fissati dal patto di stabilità interno bisogna contare i tagli subiti dai Fondi
nazionali per gli investimenti sociali che hanno perduto circa il 75% delle
risorse stanziate dallo Stato. La decurtazione più significativa interessa il
Fondo nazionale per le politiche sociali che in quattro anni, tra il 2008 e il
2012, è passato da quasi 930 milioni a meno di 70. L'ultima manovra di bilancio
ha praticamente azzerato il Fondo per la non autosufficienza, che appena due
anni fa era di 400 milioni. Non è andata meglio al Fondo per le politiche della
famiglia destinato, tra l'altro, a sostenere le adozioni internazionali, le
iniziative di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, gli assegni per i nuovi
nati: dai 185,3 milioni nel 2010 ai 31,99 di oggi. Ancor peggio se la passano i
giovani: le politiche a loro destinate se la devono cavare con 8,18 milioni. Erano
94,1.
Il Censimento generale del personale in servizio
presso gli Enti locali redatto annualmente dal Ministero dell'Interno dipinge
un quadro inequivocabile: la riduzione del personale comunale è costante: -13,6%
nel Nord Est, -7% nel Nord Ovest e al Centro, -2,3% al Sud. Tra le Regioni più
"colpite", la Liguria che nel 2009-2010 ha toccato un -43,8%. Nel
triennio 2008-2010, solo Abruzzo e Valle d'Aosta hanno visto una seppur minima
crescita del personale in servizio rispettivamente, con un +3,1% e un +2,9%.
Per i dettagli consultare le tabelle in allegato, stilate sulla base
dell'elaborazione dei dati effettuata dal Ministero dell'Interno.
In questo contesto, guardiamo anche agli stanziamenti: la
spesa media per bando, delle 96 procedure di gara testate, complessivamente di
5 milioni e 676 mila euro, è pari a 59.125 euro. Ma la collocazione geografica
del servizio prestato incide in maniera notevole sull'ammontare. Consistente il
numero dei cosiddetti affidamenti diretti: sono stati 98, di cui 53 alle
associazioni di volontariato per la gestione dei servizi sociali integrativi. È
dunque facile intuire come la scelta dei Comuni stia ricadendo sempre più
spesso su questi interlocutori che garantiscono qualità e affidabilità
nell'assoluzione del servizio che sono chiamati a gestire: a fronte della
contrazione delle risorse pubbliche e vista la necessità di contenere la spesa
pubblica si è puntato sulle associazioni di volontariato che per definizione e
mission si basano prevalentemente di prestazioni volontarie e gratuite dei
soci, a differenza di cooperative sociali e imprese no profit che comunque
impiegano personale regolarmente retribuito. L'affidamento diretto è per ora
fenomeno prevalente al Sud (28%) e nelle Isole (24%).
Uno dei malesseri più fastidiosi di questo sistema è anche
la scarsa capacità organizzativa sul medio-lungo periodo e l'altrettanto
inopportuna mancanza di coinvolgimento dei soggetti territoriali del Terzo
settore nella fase programmatica. Questo atteggiamento ha, come fonte e, in
parte, come conseguenza, la breve durata degli incarichi: le convenzioni inferiori
a un anno sono il 31,6% del campione esaminato. E l'incertezza è un nemico
silenzioso contro il quale è molto difficile lottare, non solo per chi riceve
il servizio, ma anche per chi lo fornisce, seppur gratuitamente.
Curioso un dato: nel 9% dei casi le gare sono state vinte
dai soggetti che avevano offerto il prezzo più basso, senza alcuna attenzione alla
qualità del servizio offerto. Una corsa al ribasso che rischia di strozzare
anche le imprese sociali, motore importante del Terzo settore. In compenso, le
organizzazioni di volontariato non operano più soltanto per conto degli enti
locali ma sono loro stesse promotrici di occasioni e spazi di
auto-organizzazione sul territorio facendo leva sulla conoscenza approfondita
delle esigenze individuali e collettive di una determinata fetta di
popolazione.