(Foto Ansa: BikeMi, il servizio di "bike sharing" a Milano)
Ci sono i professionisti che condividono lo stesso spazio di lavoro per dividere le spese dell'ufficio e, allo stesso tempo, mettere in comune idee ed esperienze. Ci sono i viaggiatori che condividono un tragitto in auto con altre persone magari sconosciute mettendo a disposizione il proprio mezzo a fronte di un contributo per le spese di autostrada e benzina da parte dei passeggeri. C'è la famiglia che scambia la propria casa con quella di un'altra famiglia in una città straniera per trascorrere una vacanza magari a Berlino, Londra, Madrid senza spendere per l'albergo e, nel contempo, immergersi nella vita quotidiana della città e del quartiere non da semplici turisti ma da abitanti. E ancora, c'è chi scambia vestiti e oggetti usati con il vicino di casa.
Si chiama sharing economy. Ovvero, economia della collaborazione: una molteplicità di esperienze diverse per reagire alla crisi puntando sul risparmio attraverso la condivisione, il mutuo aiuto, la reciprocità, la messa in comune di beni, servizi, abilità e conoscenze. Un paradigma economico e sociale che ha trovato grande diffusione grazie soprattutto alle piattaforme della Rete e i social network. Alla sharing economy Milano dedica un festival il 24 e 25 settembre: organizzato da Altroconsumo e patrocinato dal Comune di Milano, #ioCondivido riunisce al Castello Sforzesco oltre cento relatori italiani e internazionali per capire - attraverso incontri e workshop gratuiti - cosa sono e come funzionano questi nuovi modelli dell'economia che stanno rapidamente cambiando consumi, mentalità, stili di vita.
Secondo uno studio della facoltà di Economia dell'Università Niccolò Cusano, presentata lo scorso maggio, la sharing economy è un fenomeno in forte crescita: per il 2016 la stima di fatturato è intorno ai 13 miliardi di euro, secondo le previsioni nel 2025 si toccheranno addirittura i 300 miliardi. Eppure, secondo una ricerca di Altroconsumo, presentata in vista del festival #ioCondivido, gli italiani risultano ancora poco informati sulle varie forme e opportunità della condivisione. Quasi la metà degli intervistati - soprattutto gli italiani tra i 45 e i 70 anni - non ne ha mai sentito parlare. E chi la conosce appare ancora diffidente. Fra gli over 45, il 46% dice di non voler usare la carta di credito sui siti, il 21% ritiene che il settore sia troppo giovane e senza regole precise, il 26% trova complicate le piattaforme web, il 12% pensa che il vantaggio economico non sia rilevante. L'idea della condivisione, in generale, fa paura: molti sono spaventati dall'idea di avere degli estranei in casa o affrontare un viaggio in auto con degli sconosciuti.
In fatto di economia collaborativa, insomma, c'è ancora molto da lavorare. Anche se, in alcuni settori in particolare, questo paradigma di consumo sta già riscuotendo grande successo. Basti pensare alla formula del bike sharing nelle città, il sistema di noleggio di biciclette pubbliche gestito dai Comuni. Un esempio di mobilità sostenibile che in Italia ha avuto forte sviluppo nelle regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (mentre nel resto del Paese ancora arranca).
Ad avere conosciuto un boom in Italia è il car sharing, la mobilità in auto condivisa. Ovvero, l'offerta di flotte di veicoli che, a fronte di un abbonamento, possono essere usate per spostarsi in città, senza bisogno di ricorrere al proprio mezzo privato. E accanto alle auto tradizionali da tempo è stato introdotto lo sharing di veicoli elettrici. Nel settore della mobilità condivisa, fra le città italiane decisamente in testa risulta Milano, dove si concentra l'80% del mercato. Il capoluogo lombardo è seguito da Roma, Torino e Firenze. Secondo i dati forniti alcuni mesi fa da Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici di Confindustria) gli italiani iscritti a un servizio di car sharing sono 650mila e i veicoli in totale 4.500. A Milano, poi, è partito anche lo scooter sharing. Alla base del concetto di mobilità condivisa c'è l'idea di un consumo che non si basa più sul possesso di un bene, ma sulla fruizione di un servizio, in comune con altre persone.
L'economia collaborativa ha cambiato la socialità, le relazioni interpersonali, basti pensare alle esperienze delle social street: in molte città gli abitanti di una via o di un quartiere si organizzano attraverso Facebook o altre reti sociali per conoscersi, attivare forme di scambio e di cooperazione, aiutarsi a vicenda. Per arrivare all'organizzazione di feste, cene, eventi conviviali e culturali. Dalla Rete, insomma, si passa al vissuto quotidiano, alla relazione a tu per tu. E, grazie alla condivisione, una strada cittadina diventa una piccola comunità.