62 anni, nato a Mosca ed immigrato con la famiglia quando aveva 2 anni in Israele, Shlomo Mintz è considerato uno dei grandi violinisti del secondo Novecento. Direttore d’orchestra, organizzatore e perfino compositore, Mintz è da 40 anni al centro della vita musicale, come testimoniano le sue collaborazioni con i più grandi artisti di questi decenni. In questa primavera la Decca – con la quale ha siglato un impegno per la realizzazione di altri progetti – ha presentato la sua nuova incisione: le 6 Sonate per violino op. 27 di Eugène Ysaÿe (1858 – 1931), a sua volta sommo virtuoso di violino, compositore e didatta.
Chi è stato Ysaÿe come artista e come uomo?, gli chiediamo: “un artista che ha voluto raggiungere le vette della musica e del virtuosismo. Ysaÿe era a suo modo un egoista, un individualista: ma in senso anche positivo. Infatti ha voluto lasciare molto al suo tempo ed a noi. Anche queste sei Sonate sono una sorta di dono, perché sono dedicate ciascuna ad un collega, e l’ultima anche ad un suo allievo. Ed a proposito di questo dono, lui disse: lascio tutto questo all’umanità. Un gesto che scaturisce anche dalla religiosità di Ysaÿe. E devo dire che io condivido molto questo atteggiamento: voglio lasciare qualche cosa al pubblico con questa incisione, dopo essere stato per lunghi anni in silenzio come produzione discografica”.
Che tipo di sonate sono?
“Nelle sonate si trovano molte differenze da una all’altra. Si inizia appunto con una forte ispirazione religiosa nelle prime due: canto gregoriano, Bach. E poi si passa alla Ballata che racconta una storia, e così via. E dalla fine all’inizio ci si rende conto che è un percorso”. Mintz parla con piacere di temi che riguardano tutti: l’umanità di oggi e la funzione della musica. “Oggi non è facile essere degli individui con proprie scelte. Siamo massificati: anche dai mezzi di comunicazione e dalla tecnologia. È un momento difficile: la società ha la memoria corta, ma dobbiamo difendere la storia, la grande musica classica, per poter guardare al futuro. Dobbiamo formare i giovani, e al tempo stesso arrivare al pubblico, educarlo: per abituarlo all’ascolto in un mondo nel quale conta troppo l’apparire. Pensiamo a Claudio Abbado che parlava sempre dell’importanza dell’ascolto. Siamo in una sorta di centrifuga: ma dobbiamo guardare al futuro, e costruirlo, anche utilizzando i mezzi tecnici, senza esserne vittime”.
Che cosa può fare la musica?
“Parto da un episodio un po’ particolare. Hanno fatto un esperimento a Washington, città dove c’è tanta violenza: hanno chiesto ad una comunità di monaci buddisti di riunirsi in preghiera per 2 settimane. Ed incredibilmente i fatti di violenza si sono ridotti moltissimo. Bene, anche la musica può essere preghiera. E credo che anche gli artisti possano cambiare le cose: purché siano dei giusti. Un altro esempio viene dal Vecchio Testamento. Davide suonava il violino per il suo re Saul: ed è la prima volta che il violino viene citato nella storia. E la Bibbia scrive che Davide mutò in questo modo il vento cattivo in buon vento. E d’altronde tutti noi sperimentiamo come un concerto possa cambiare il nostro umore. Bene, grazie a questa dimensione della musica noi possiamo fare molto per la pace e per la società. Senza spendere una parola. E credo che questo sia un dovere per chi fa musica”. Ma “donare” per Mintz significa anche pensare ai giovani per i quali ha già fatto moltissimo, al loro futuro: “Guardandomi indietro posso ricordare tanti episodi, tante esperienze con i giovani: non tutto è stato bello, ma non tutto è bello nella vita e noi ci dobbiamo confrontare con le cose belle e quelle non belle. E dobbiamo aiutare i giovani, appoggiarli in modo intelligente, e soprattutto considerare che il loro è un lavoro, e non vanno mai sfruttati. Ho paura per i ventenni di oggi, io sento di essere stato molto fortunato, ma temo che molti di loro dovranno trovare altri mestieri”.
E per la musica in generale?
“Dobbiamo fare sì che la gente senta il legame con la sala da concerto, con il luogo fisico in cui si fa musica: che non è YouTube, anche se è utile come tutta la tecnologia”.
Un bilancio?
“Ho lavorato tantissimo, e con molte difficoltà sono riuscito a mantenere un certo livello. Penso che avremo un mondo migliore quando ciascuno si concentrerà sul proprio dovere. Io mi concentro sulla musica. E credo con l’arte di parlare alla gente. Io sono l’opposto di Daniel Baremboim: io non voglio dire agli altri cosa devono fare. Voglio rispettare tutte le scelte: e parlare attraverso la musica”.
Concludiamo con Ysaÿe e con le Sei sonate incise. Finora non erano considerate sonate per giovani esecutori?
“Ma io mi sento giovane! La gioia di esistere non è una questione di età”.