Si può capire il gesto del signore di Milano che poco tempo fa ha ferito il ragazzo che, insieme alla sua gang, lo stava aggredendo per essere stati rimproverati per avere ritardato la partenza dell’autobus. Doveva difendersi ed erano in quattro o cinque contro di lui. Anche quei ragazzi prepotenti, prima o poi, dovevano aspettarsi che qualcuno reagisse. Io sono una persona pacifica, però mi chiedo se qualche volta non occorra anche rispondere con la stessa misura.
PIERO
— Caro Piero, già nel 1611 Shakespeare presentava così gli adolescenti della sua epoca, per bocca di un personaggio del suo Racconto d’inverno: «Sarebbe bene che l’età degli uomini dai dieci ai ventitré anni non esistesse, o che la gioventù se la dormisse, perché non fanno altro, in quest’età, che pensare a mettere incinte le ragazze, fare ogni sorta di soprusi ai vecchi, rubare e azzuffarsi tutto il tempo...». L’aggressività degli adolescenti non è cosa nuova, e nel corso del tempo si è incanalata in fenomeni sociali diversissimi, che vanno dal tifo calcistico alla violenza politica, fino alla partecipazione volontaria alla guerra. Non credo che si possa eliminare, ma sono convinto che si possa educare. Uno dei compiti dell’educazione è infatti aiutare a capire il senso dell’aggressività e a utilizzarla, depurandola della sua distruttività. Dietro all’aggressività violenta di alcuni gruppi di adolescenti c’è vuoto e noia, ma soprattutto c’è paura. Una paura non accettata, perché ritenuta segno di debolezza, e per questo negata e ributtata sugli altri. Ci si mette la maschera dei ‘cattivi’ per far paura al prossimo. Il fatto che questi episodi abbiano spesso come protagonisti i gruppi (le baby gang, i bulli) ci segnala la profonda paura dei ragazzi, che il gruppo annulla perché fa sentire forti e difesi. Con il risultato che questa emozione agisce nei gesti dei ragazzi, ma non trova spazio nelle loro menti. Se ciò avvenisse, assumerebbero atteggiamenti meno distruttivi e più prudenti. Penso che questi ragazzi violenti non considerino che le loro provocazioni possano suscitare una reazione forte, come è avvenuto a Milano. Poteva andare peggio, per il ragazzo, che è stato solo leggermente ferito. Ma egli deve imparare ad avere paura per evitare situazioni del genere. La paura, emozione necessaria perché ci avvisa del pericolo, va riconosciuta perché crei un deterrente interiore ed eviti i comportamenti eccessivamente pericolosi per gli altri e per sé. Penso che questo possa essere un valido e concreto punto di partenza per avviare con questi ragazzi una riflessione su valori più alti, ma anche più lontani dalla loro realtà, come il rispetto degli altri e il senso del bene comune.