Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 06 novembre 2024
 
famiglia e cura
 

Il neonato è prematuro, mamma e papà diventano medici

18/04/2017  In un ospedale inglese i prematuri vengono seguiti, nelle incubatrici, direttamente dai genitori. Un metodo sperimentato da molti anni finalmente diventa un protocollo di cura. Grazie alla vicinananza continua con mamma e papà, sicuramente più capaci di sintonizzarsi sui suoi bisogni, il bambino ha più possibilità nella sua battaglia per crescere.

 

Mamma e papà diventano medici, quando il neonato è prematuro e ha gravi problemi, e ci guadagnano sia la salute dei bebè che il processo di attaccamento dei più piccoli ai genitori.

A sperimentare il nuovo approccio alle cure neonatali è l’ospedale “St. James’s University Hospital” di Leeds, nord di Inghilterra, dove ai genitori di bambini prematuri sono state affidate le cure mediche meno impegnative come prendere la temperatura, per vedere se i più piccoli hanno la febbre, o inserire una cannula per nutrire chi non può essere né allattato né alimentato con il latte artificiale.

«E’ meraviglioso potersi sentire davvero una mamma anziché una fredda osservatrice che guarda l’incubatrice dove si trova mia figlia», ha raccontato alla BBC Katie Crossley, mamma di Molly, nata otto settimane prematura e con difficoltà di respirazione, «Faccio tutto quello che una mamma normale farebbe. Dar da mangiare, somministrare medicine, fare il bagno a Molly. Mi hanno anche insegnato a inserire una sonda per la nutrizione, dentro il naso di mia figlia, che arriva fino allo stomaco così che si può alimentare normalmente».

L’ospedale di Leeds non è pioniere nel “family integrated care system”, ovvero il coinvolgimento dei genitori nelle cure mediche dei neonati prematuri, benchè, fino a vent’anni fa, papà e mamma venissero tenuti rigorosamente dietro a una vetrata, quando il bebè aveva problemi di salute, con conseguenze poco positive come la mancanza di un buon rapporto col più piccolo e la difficoltà ad allattare.

Un precedente è stato stabilito a Tallinn, in Estonia, negli anni settanta, quando l’ospedale locale non ce la faceva a curare un numero veramente alto di bebè prematuri, per la mancanza di infermiere, e ha deciso di coinvolgere i genitori nella cura dei neonati. I risultati furono ottimi perché il contatto fisico tra mamma e papà e bebè favoriva l’allattamento e accorciava i tempi di permanenza in ospedale.

Ci sono voluti trent’anni prima che l’esperimento di Tallinn venisse copiato in altri paesi ma oggi il “family integrated care system” è diffuso in Canada, Australia e Nuova Zelanda oltre che, naturalmente, a Leeds. Anche se non sempre coinvolgere i genitori aiuta ad alleggerire il carico di lavoro degli infermieri. Al St. James’s di Leeds non è stato di certo il budget a motivare l’ospedale a coinvolgere i genitori perché, per gli infermieri, insegnare a papà e mamma come prendersi cura dei figli comporta un investimento di tempo identico se non maggiore di quello richiesto quando i compiti vengono svolti da loro stessi.

Nel “family integrated care system” il genitore viene messo al centro del team che cura il neonato come ha spiegato alla BBC Liz McKechnie specialista in neonatologia.

«Consentire a mamma e papà di curare i loro figli è la cosa più naturale di questo mondo», ha detto la dottoressa McKechnie, «Abbiamo scelto questa strada non per risparmiare soldi o far scendere il numero degli infermieri che abbiamo ma perché i genitori sono più sintonizzati sui bisogni dei figli, rispetto al personale che impieghiamo, ovvero danno da mangiare al bebè quando ne ha davvero bisogno anziché guardare l’orologio e il neonato ne trae vantaggio».

Basti pensare a Lola, nata ad appena 23 settimane, con un gemello che, purtroppo, non è sopravvissuto e lei stessa a rischio di morire. Alla mamma Anna le infermiere hanno insegnato a prendere la temperatura con un termometro e si sono anche assicurate che sappia fare altri compiti più complicati prima di affidarle la neonata.

La bambina è tornata a casa prima che avesse 14 settimane di vita e la sua permanenza in ospedale sarebbe stata molto più lunga se a curarla non fossero stati i genitori.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo