“Abbiamo tutti davvero paura, e
dire paura è dire poco, non sappiamo quando... se la bomba ci cadrà
addosso questa notte, domani o mai. Speriamo mai! Ieri abbiamo
sentito un'esplosione molto forte, pensavamo ecco ci hanno colpiti.
Era la casa vicina”.
Sono
le parole di Yousef Hamdouna il 19 novembre dello scorso anno. Da
poco erano ripresi i bombardamenti sulla striscia di Gaza da parte
delle forze israeliane e Yousef era in collegamento skype con alcuni
amici di EducAid di Rimini: “Ancora siamo vivi, e questa è già
una buona cosa. In realtà non so neanche se è una buona cosa. Solo
uscire di casa è una cosa difficile. È difficile stare sotto le
bombe. Mia figlia parla con la bambola e le dice che quello che cade
dal cielo è pioggia, ma non è pioggia. Quando hai dei figli è
ancora più difficile. La domanda che mi manda fuori di testa è:
come stai? Rispondo: sto sotto le bombe. Nessuno ha voglia di
mangiare, si cucina... perché si cucina, ma poi nessuno mangia. Io
sono una persona semplice, voglio solo vivere, io, mia moglie e i
miei figli”.
Ora il valico con l'Egitto è chiuso, tutto entra solo da Israele. Col contagocce
27
settembre 2013. È proprio
Yousef che mi accoglie all'ingresso a Gaza dopo aver varcato il
valico di Erez. È venerdì pomeriggio, per strada poca gente, oggi è
giorno di festa e tutti sono a pregare in moschea o sono a casa.
Attraversiamo a piedi Jabalia mentre sentiamo la voce del sermone
dell'imam diffondersi dai megafoni del minareto.
«Sta
parlando dell'occupazione di Israele e della difficoltà di vivere a
Gaza. Ogni venerdì, alla preghiera, è un'occasione per testare la
situazione. Le prediche hanno sempre un taglio politico».
Poi Yousef mi indica una pompa di benzina: «Ecco
in questi giorni quella è la nostra condanna, non arriva il
carburante e dobbiamo ridurre l'uso dell'auto».
Ora
che Rafah è completamente chiusa (il valico con l'Egitto), tutto può
entrare solo da Israele ed entra tutto con il contagocce. Se vuoi
comperare un'auto oggi a Gaza devi avere la pazienza di aspettare
almeno 6 mesi. Sperando sempre che nel frattempo non succeda nulla.
Si
avvicina il tramonto, la luce diventa davvero bella per qualche foto
sul lungomare e sul porto di Gaza City. La città si rianima. Cortei
di auto che suonano il clacson ci portano dentro alla vita di Gaza.
Sono matrimoni, è la vera grande occasione per festeggiare, forse
l'unica. Nel giro di un'ora ne incontriamo addirittura tre.
Anche
all'indomani ritroviamo una Gaza viva, giovani e bambini per strada.
Lungo la spiaggia gli stabilimenti balneari sono ancora aperti così
come gli alberghi che oggi vivono prevalentemente delle feste di
matrimonio. Non ci sono turisti che vengono a Gaza da fuori della
striscia. In pochi infatti riescono a entrare e chi lo fa è per
motivi specifici non per turismo. Così gli hotel di Gaza ospitano i
palestinesi di Gaza. Un'economia che si alimenta al suo interno.
È
ancora stagione di bagni al mare, molti bambini, qualche donna
interamente vestita, meno uomini adulti. Sembra davvero possibile una
vita normale.
Rafah,
all'estremo sud, al confine con l'Egitto ci riporta in una situazione
più complicata. Dopo la caduta dei Fratelli Musulmani i rapporti fra
Gaza ed Egitto si sono infatti chiusi radicalmente. Hamas che qui a
Gaza ha il controllo politico e militare è stata più volte accusata
di aver sostenuto le azioni dei Fratelli Musulmani in Egitto. I
tunnel che fino a poco tempo fa erano la principale via di
rifornimento dei beni per tutta la striscia oggi sono praticamente
chiusi. Quando ci rechiamo vicino al confine veniamo fermati dai
militari di Hamas. Non possiamo proseguire, l'area è proibita,
troppo rischiosa. Da qualche giorno ci sono scambi di artiglieria fra
palestinesi ed egiziani che dalle torrette controllano il confine.
«Si
sente qualche cosa nell'aria, quando parli con la gente. Pensiamo che
debba succedere qualche cosa, che possa succedere qualche cosa e
questa volta ce l'aspettiamo dall'Egitto, non da Israele».
Yousef non nasconde la sua preoccupazione. L'unica parte ci confine
amica fino a poco tempo fa oggi è diventata più lontana del confine
con Israele. Entrare e uscire da Gaza rimane sempre un'impresa
difficile. Difficile ottenere permessi da Israele, difficile e
pericoloso entrare e uscire dall'Egitto.
EducAid opera con i bambini, "cercando di aiutarli a guardare al futuro con occhi positivi"
Gaza
rimane quella che ho conosciuto la prima volta che ci sono venuto,
nel 2004. Una striscia di terra lunga una quarantina di chilometri e
larga mediamente sette, chiusa dai muri sui tre lati di confine, due
con Israele e uno con l'Egitto e davanti il Mediterraneo, ma solo per
5 miglia, poi le navi militari israeliane hanno il controllo totale
delle acque.
Dopo
la tregua di novembre 2012 hanno allargato lo spazio di pesca prima
ristretto a 3 miglia.
In questo spazio di mare si pesca molto meno.
«Addirittura
per un breve periodo hanno permesso di pescare anche a 6 miglia dalla
costa. Ho mangiato un pesce che non avevo mai mangiato prima. Qui a
Gaza lo chiamavamo il pesce delle tregua».
Mi
appresto a lasciare Gaza, tre giorni di incontri con questa realtà
viva e piena di contraddizioni. Abbiamo incontrato diverse attività
di progetti educativi, EducAid è attiva da oltre 10 anni con diversi
partner. L'attività principale è aiutare i bambini nelle scuole e
negli asili a superare gli effetti traumatici del conflitto, dare
loro la possibilità di guardare al futuro con una prospettiva
positiva. Sono molti ad essere impegnati per questo. Sembra davvero
possibile una vita diversa, normale, anche a Gaza.