Cristina mi scrive: «Ho ascoltato un suo intervento in Tv2000 in cui diceva che nell’affresco della Creazione nella Cappella Sistina lo spazio tra i due indici simboleggia la libertà che Dio ci ha dato. Mi chiedo: anche nel caso della malattia fisica grave e mortale, che l’uomo non sceglie?».
Quel quadro magnifico di Michelangelo, tanto fecondo da sprigionare tante riflessioni e arricchire tante sessioni e lezioni di teologia e di spiritualità, allude effettivamente alla libertà che il Signore ci ha dato. Il dito teso di Dio è la sua alleanza – in termini più esistenziali: il suo sì nuziale – a noi. Se facciamo uno zoom, ci accorgiamo che le due dita non si toccano, ma che tale mancanza non è dovuta al Dio che appare totalmente teso e proteso, ma all’essere umano che in quell’“istantanea” che Michelangelo ha voluto raffigurare sembra indeciso e adagiato nella sua esistenza.
Certo, non siamo nella testa di Michelangelo per leggere le sue intenzioni, ma ciò che abbiamo davanti è esposto alla nostra interpretazione, giacché l’opera, quando esce dalle mani del suo autore, esce anche dal suo dominio e dal contesto stretto dei suoi intenti. In ogni caso, in una lettura cristiana, l’affresco raffigura la libertà relazionale che Dio ci dà: appunto la libertà di dirgli sì o no, di scegliere il bene o il male, ma non implica un nostro potere “soprannaturale” di predeterminare le condizioni in cui facciamo le nostre scelte. Implica, per essere più precisi, non tanto la possibilità di scegliere la nostra condizione, ma la nostra libertà dinanzi ai limiti e condizionamenti. Leggiamo nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1739): «La libertà dell’uomo è finita e fallibile... Di fatto, l’uomo… rifiutando il disegno d’amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre». Per venire al caso concreto posto all’inizio: dinanzi ai limiti della malattia o della povertà o dell’ingiustizia che non scegliamo per noi stessi, abbiamo ancora quel margine – e quella sfida – di libertà che ci permette di scegliere come viverle e come orientarle. È una libertà non assoluta, ma nemmeno soffocata dai limiti. In fondo, restiamo creature, ma creature chiamate a vivere la pienezza nel frammento e a coniugare la frammentazione della nostra esistenza con il quadro completo della pienezza che avremo solo in Dio.