Sette mesi nello spazio e finalmente Samantha Cristoforetti, capitano e pilota dell’Aeronautica militare, nonché astronauta dell’Agenzia spaziale europea, è rientrata tra noi. Ha concluso felicemente la missione Futura (la seconda di lunga durata dell’Agenzia spaziale italiana) e sta re-imparando a vivere sul pianeta Terra tra rumori, odori e gravità. In tutto questo tempo ci ha osservati dall’alto, e tra un esperimento e l’altro, ha contemplato il nostro pianeta. Bello, ma in balia dell’uomo che forse non fa abbastanza per proteggerlo e custodirlo, come direbbe papa Francesco. Dall’alto della sua esperienza ci svela cosa ha visto dallo spazio profondo.
Grazie a Expo si sta parlando molto di ecologia e inquinamento. Lei ha visto bene il nostro pianeta. Come lo ha trovato da lassù?
«La Terra vista dallo spazio è un’esperienza intensa dal punto di vista estetico. È bellissima! Facendo un parallelo, mi piace considerarla come un’astronave. La Stazione spaziale internazionale (Iss) permette a poche persone di vivere in un ambiente ostile. Lo stesso succede al nostro pianeta che viaggia nello spazio. È come un’astronave: trasporta noi esseri umani che al momento non siamo in grado di abitare nessun altro luogo. Per questo dobbiamo averne cura. Sulla terra non siamo semplici passeggeri, siamo membri dell’equipaggio così come gli astronauti lo sono sulla stazione spaziale. Dovremmo quindi cercare di non causare problemi all’astronave che ci ospita, rimboccarci le maniche per avere un impatto positivo sul nostro pianeta».
Stando in orbita si può “toccare con mano” l’inquinamento?
«Dall’Iss ho potuto notare le nostre impronte, la mano un po’ pesante dell’uomo. Alcune cose si vedono anche a occhio. Credo che se andasse nello spazio un esperto di problemi ambientali potrebbe leggere la Terra come un libro aperto. In fondo, si tratta solo di 400 km di distanza. È comunque evidente che siamo tutti sulla stessa barca, o meglio astronave, e quindi dobbiamo risolvere i problemi con un approccio globale. Non è possibile limitarsi a creare un paradiso terrestre su una parte della terra a discapito degli altri luoghi. È un sistema interconnesso e bisogna trovare delle soluzioni che siano ecosostenibili per tutti».
Tra gli esperimenti condotti in missione ce ne sono stati alcuni relativi a tematiche ambientali e di sostenibilità energetica?
«Sicuramente quelli condotti sulle piante. Sono serviti per capirne i meccanismi di funzionamento e la possibilità di adattare le piante e le tecniche agricole per riuscire, come dice il tema di Expo, a sfamare il pianeta. Per nutrirci oggi, ma soprattutto per fare in modo che il pianeta possa nutrire anche le generazioni future e non soltanto la nostra. Questo tipo di ricerca può avere dei risvolti positivi».
Lei è ambasciatrice di Expo. Sono importanti per lei questi temi?
«Certo, soprattutto il tema del cibo e della nutrizione. Mi colpisce il fatto che ci sono due grossi problemi speculari: una parte povera del pianeta sta male per la malnutrizione e la sottonutrizione; una parte ricca soffre per troppo cibo o cibo sbagliato. Sono due volti della stessa medaglia».
Dal punto di vista pratico, cosa le è pesato di più della vita nello spazio?
«È un’esperienza che ho affrontato con leggerezza. Con la leggerezza del fluttuare, per dare un’immagine appropriata. La vita a bordo non l’ho vissuta con pesantezza o difficoltà. Ero ben adattata e preparata. Si tratta in fondo di un periodo di pochi mesi. Lo si può vivere senza problemi e con grande serenità. A bordo mancano tutte le piccole complicazioni della vita quotidiana. Infatti, nella complessità tecnica delle cose da fare, per cui si è comunque addestrati, è una vita davvero semplice».
Ha sperimentato il “caffè espresso” in assenza di gravità. Esperimento riuscito?
«Si è trattata di una dimostrazione di tecnologia più che di un vero e proprio esperimento scientifico. Abbiamo cercato di capire come è possibile gestire il funzionamento della macchina dell’espresso, che coinvolge liquidi ad alta pressione e ad alta temperatura. Bisogna tenere sotto controllo, per produrre il caffè, una serie di aspetti riguardanti la sicurezza. Dopo qualche problemino iniziale e una sistemata alla tecnologia, devo dire che l’esperimento è riuscito. Il caffè era ottimo».
Ha provato noia o paura?
«Annoiata è una parola eccessiva. Sicuramente dopo alcuni mesi, quando non c’è più il brivido della novità, si entra in una sorta di routine. Si passa da un periodo esilarante caratterizzato dall’adattamento, dalla scoperta, da qualche difficoltà, e poi ci si stabilizza in una sorta di quotidianità che è comunque gratificante e serena. Non ho avuto paura perché ho viaggiato nello spazio grazie a una tecnologia robusta e solida con cui noi astronauti abbiamo molta familiarità. Possono succedere eventi pericolosi. Però sappiamo cosa fare se dovessero accadere».
Qual è stato il momento più bello o emozionante?
«È difficile fare una classifica. Me ne vengono in mente tanti: l’arrivo alla stazione spaziale, la prima vista dalla cupola dell’Europa e dell’Italia, dell’aurora o semplicemente del cielo stellato».
Meglio la leggerezza della vita nello spazio o il peso di una vita terrestre?
«Credo che un’alternanza sia la cosa migliore. Non si può vivere di sola leggerezza anche se è stato un cambiamento che ho davvero apprezzato».