Lo scrittore Maurizio Maggiani.
Ha destato non poco stupore il fatto che, al termine dell’udienza (ovviamente non durante) di mercoledì scorso, papa Francesco abbia risposto ad una telefonata sul proprio cellulare. L’immagine, riportata dai media e il fatto stesso ci fanno riflettere in primo luogo sul fatto che ormai, ci piaccia o no, siamo sempre e comunque “tutti connessi”, come nel bel film Cloud Atlas, tratto dal romanzo L’atlante delle nuvole di David Mitchell. L’altro può irrompere nella nostra esistenza quanto meno ce lo aspettiamo, ci interpella, magari ci crea disagio e fastidio, ma col suo squillo ci dice semplicemente che c’è ed esige ascolto e attenzione, anzi li pretende. Se questo è l’orizzonte socio-culturale in cui viviamo, da esso non è estraneo neppure il vescovo di Roma, che non è un eremita, ma sta nel mondo e nella storia con tutti i rischi che questo essere-nel-mondo comporta e utilizzando tutti i mezzi tecnologici e comunicativi a sua e nostra disposizione.
Alla telefonata di ieri, segue una lettera pubblicata oggi dal Secolo XIX, ma datata 9 agosto, ed indirizzata allo scrittore Maurizio Maggiani, il quale aveva espresso al papa tutto il suo disagio e la sua vergogna perché alcuni suoi libri erano stati stampati presso un'azienda del Nordest che sfruttava i pakistani, schiavizzandoli. Di fronte a tale orrore, il Papa indica due vie da percorrere. Innanzitutto, scrive che non possiamo rinunciare alla bellezza, per il fatto che c’è chi schiavizza le persone per realizzarla (pensiamo alla storia di tante grandi opere, piramidi comprese): «Rinunciare alla bellezza sarebbe una ritirata a sua volta ingiusta, un’omissione di bene».
Al tempo stesso dobbiamo denunciare le “strutture di peccato”, che sostengono la logica del profitto. Francesco ci suggerisce una reazione basata su due verbi. Siamo chiamati a “denunciare” i “meccanismi di morte”, le “strutture di peccato”, arrivando ad esprimere «cose anche scomode per scuotere dall’indifferenza, per stimolare le coscienze, inquietandole perché non si lascino anestetizzare dal non mi interessa, non è affare mio, cosa ci posso fare se il mondo va così?». Ma, secondo il Papa, bisogna anche “rinunciare”. Lo scrittore non si dice preoccupato per il “ritorno di immagine” delle sue espressioni di denuncia e questo il Papa lo apprezza, sostenendo che, oltre al coraggio della denuncia, ci vuole quello della rinuncia. Non si tratta, per Francesco, di rinunziare alla letteratura e alla cultura, «ma ad abitudini e vantaggi che, oggi dove tutto è collegato, scopriamo, per i meccanismi perversi dello sfruttamento, danneggiare la dignità di nostri fratelli e sorelle. È un segno potente – insiste – rinunciare a posizioni e comodità per fare spazio a chi non ha spazio» (sottolineatura mia). Bisogna giungere a pronunziare dei no, ma «per un sì più grande», e fare «obiezione di coscienza per promuovere la dignità umana».
Il cellulare, la lettera, il giornale… modalità di connessione che fanno parte della nostra vita quotidiana e che ci consentono di relazionarci ed intercettare gli altri, naturalmente tutto dipende da cosa diciamo, scriviamo o pubblichiamo e dal messaggio che attraverso il mezzo vogliamo lanciare.