Le nostre strade sono una guerra che causa oltre tremila morti l’anno e quasi 250.000 feriti. Nei primi sei mesi del 2017 ci sono state 55 vittime in più rispetto allo stesso periodo del 2016, una crescita netta del 7.4%. Dati diffusi dalla Polizia stradale. Il 2015 peggio che mai, un anno nero, il peggiore dal 2001. Volendo essere polemici si potrebbe dire che la legge sull’omicidio stradale non ha fatto il miracolo: in strada si muore ancora tanto, troppo.
Ma attendersi il miracolo da una legge, al di là dei dubbi sul testo che rimangono, sarebbe ingenuo. Perché è noto che la repressione, forse, aiuta, ma non ha il potere di risolvere da sola il problema di rendere le nostre strade più sicure: un po’ perché arriva dopo, a incidente avvenuto, un po’ perché la sicurezza dipende molto dai comportamenti, che la repressione riesce a condizionare solo in parte.
Quando il capo della Polizia Franco Gabrielli dice che non possiamo aspettarci poteri taumaturgici da una legge, perché la maggior parte degli incidenti, mortali e no, nasce dalla distrazione, ci ricorda che le nostre vite e le vite degli altri sono anche molto nelle nostre mani. O ci mettiamo in testa che quando guidiamo dobbiamo stare attenti alla strada, e non a cinquantamila altre cose, o non se ne esce: il bollettino di guerra continua.
Non per caso Gabrielli, a margine del convegno che ha fatto il punto sulla legge sull’omicidio stradale a 15 mesi dall’entrata in vigore, ha accennato allo smartphone come fattore principale di distrazione. Non è stato diffuso un dato preciso, ma è esperienza comune alla guida vedersi accanto al semaforo qualcuno che non riparte al verde perché sta chattando o, peggio ancora, vedere l’auto o il tir davanti faticare a tenere la strada perché chi guida, invece di guardare davanti, abbassa gli occhi sui messaggi del cellulare. Se si calcola che 10 secondi distrazione valgono a 100 all’ora 280 metri “al buio” si ha un idea del rischio.
E’ persino banale ricordare che alla sicurezza stradale non possono che concorrere più fattori: dalla manutenzione (a proposito, chi bada alle strade provinciali piene di buche?), alla repressione (meglio se senza chiudere un occhio sui cellulari), passando per la prevenzione e per l’affinamento dell'educazione anche tecnica (vero scuole guida?), ma nessuno di questi fattori sarà mai risolutivo da solo. Finché i singoli non si convincono che si guida responsabilmente perché si ha in conto la propria vita e la vita degli altri, non perché si teme una sanzione, si continueranno a contare morti.