Le norme del nuovo codice della strada, ancora tutte da emendare in Parlamento, non si prestano a essere analizzate nel merito di ogni singolo punto, vorrebbe dire trattare come se fosse definitivo quello che ancora non lo è.

Il tema è indubbiamente caldo e delicato, ad alto tasso emotivo: è avvertita un’esigenza sociale di maggiore sicurezza in strada.

Quello che già si può dire fin dagli annunci è che la risposta del Governo punta per la maggior parte alla repressione, all’inasprimento delle sanzioni, nella speranza che questo indirettamente aumenti la sicurezza generale contando sul fatto che il timore di incappare in sanzioni più severe induca le persone a trattenersi dal violare le norme. È una risposta. E ci può anche stare quando si tratta di scoraggiare condotte che si sanno ad alto rischio, dove la sottovalutazione di un pericolo conosciuto è tale da sconfinare, per usare i termini del diritto penale, nel sottile crinale della colpa cosciente e del dolo eventuale. Vanno certo in questa direzione le norme che minacciano sanzioni molto gravi per chi si mette alla guida alterato dall’alcol o dagli stupefacenti.

A patto di essere consapevoli che il cosiddetto deterrente – il percorso mentale che induce a trattenersi dal commettere un illecito per timore di una sanzione – funziona poco e male quando si tratta di eventi colposi, come nella stragrande maggioranza sono gli incidenti stradali, nei quali chi li provoca non agisce – se non di rado – con la coscienza e la volontà di violare le regole e di recare danno ad altri (dolo), ma sulla base di un processo di errata valutazione del rischio (imprudenza) o commettendo semplicemente un errore (imperizia).

Lo dimostra la Legge sull’omicidio e le lesioni stradali che a distanza di otto anni dall’entrata in vigore non ha sortito gli effetti sperati: non solo non ha risolto né ridotto drasticamente il problema degli incidenti mortali e dei pirati in fuga, ma ha anzi – peccando di scarsa generalità e astrattezza – finito per aggiungere problemi diversi, arrecando disordine al sistema normativo: prova ne abbiamo in questi giorni in cui si sta mettendo mano a una fattispecie di “omicidio nautico”, per rimediare a uno squilibrio che l’omicidio stradale ha creato. Sanzionando in modo più grave rispetto agli altri omicidi colposi quello commesso in violazione del codice della strada ha, infatti, reso sostanzialmente ingiusto il fatto che chi commette lo stesso reato in un contesto diverso dalla strada, per esempio a bordo di un’imbarcazione, sia sanzionato meno gravemente. Due recenti incidenti nautici hanno posto questo specifico problema. Tra un po’ qualcuno si interrogherà se dopo altri fatti di cronaca non si ponga un problema di normare fattispecie ad hoc per “omicidi ferroviari” e di “omicidi aerei”. Ovviamente è una provocazione per dire che la legislazione d’emergenza può condurre a un respiro corto che alla lunga concorre a un sistema iniquo.

Tornando alla sicurezza stradale e alle imprudenze più gravi e prevedibili la repressione può, se effettiva, soddisfare forse un bisogno emotivo di giustizia in chi l’incidente lo ha già subito senza colpa ma è magra consolazione, perché giunge tardi rispetto al bisogno di prevenirlo. Se non effettiva, perché il controllo è inefficace (mica semplice pescare sul fatto uno che chatta alla guida prima che abbia fatto danni), rischia la beffa dell’effetto boomerang della grida manzoniana: draconiana nelle promesse inefficace nei fatti.

Resta da chiedersi se la risposta repressiva sia da sola adeguata agli obiettivi. Chiunque di noi, analizzando i propri comportamenti e i propri atteggiamenti mentali, sa bene di essere più portato a rispettare le regole di cui comprende l’utilità e il significato rispetto a quelle in cui agisce solo per il timore di una sanzione: nel secondo caso facilmente si riprende trasgredire non appena si spera di farla franca, mentre nel primo caso si è ligi sempre perché la regola è introiettata. Se l’obiettivo è mirare a una cultura della sicurezza stradale solida e duratura la sola repressione probabilmente non basta, serve una prospettiva di lungo periodo che contempli più misure – nel ddl marginali -- di educazione, informazione, formazione al fine diffondere il più possibile la consapevolezza del rischio stradale a tutti i livelli e la nozione corretta dei comportamenti virtuosi.

Ben sapendo che la ricetta facile non esiste: illudersi che ci sia è tornare daccapo tra qualche tempo.