Vuole una Chiesa che sia «ospedale da
campo», papa Francesco, pronta, cioè, a curare i feriti del nostro
tempo e andare loro in soccorso. Non è certo un caso, quindi, che
per il secondo viaggio apostolico in Italia, dopo Lampedusa, abbia
scelto la Sardegna, ferita dalla mancanza di lavoro, dalla povertà
di tante famiglie, da un'idea di futuro che è sparita dall'orizzonte
dei giovani, da una precarietà che per molti s'è fatta
disperazione.
In largo Carlo Felice, appena arrivato
a Cagliari, il Papa ha incontrato i lavoratori della Sardegna
esortandoli a non perdere la speranza: «Io vi dico coraggio, ma non
voglio che questa sia una parola vuota detta con un sorriso. Non
voglio fare l'impiegato della chiesa che dice parole vuote. Voglio
che questo venga da dentro, ve lo dico come pastore e come uomo! La
mancanza di lavoro porta alla mancanza di dignità. Non lasciatevi
rubare la speranza, non lasciatevi rubare la speranza!».
Sul palco, a salutare il Papa in
rappresentanza del mondo del lavoro sardo, c'erano un cassintegrato,
un pastore e un imprenditrice. Francesco ha raccontato la sua storia
familiare di emigrato nell'America Latina per trovare pane e lavoro:
«Come figlio di un papà andato in Argentina pieno di speranza», ha
detto, «conosco la sofferenza delle speranze deluse degli emigranti
e vi dico coraggio, ma so che non posso dirvelo come un impiegato
della Chiesa», ma «fare di tutto come pastore e uomo per darvi
questo coraggio».
Il Papa si era preparato un discorso
scritto ma ad un certo punto ha preferito abbandonarlo per andare a
braccio, come fa spesso ormai: «Mio papà da giovane», ha detto il
Papa al mondo del lavoro sardo, prendendo spunto da questo ricordo
personale per un parlare a braccio, «è andato in Argentina pieno di
illusioni, convinto di trovarvi l'America e ha sofferto la crisi del
Trenta, hanno perso tutto, non c'era lavoro, e io ho sentito nella
mia infanzia parlare di questo tempo a casa, non l'ho visto, perché
non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza,
parlare di questa sofferenza».
Poi Francesco si è soffermato sulla
virtù del coraggio a cui ha spronato e continua a spronare chi
soffre e in difficoltà: «Conosco bene questo», ha aggiunto, «ma
devo dirvi coraggio, ma anche sono cosciente che devo fare tutto del
mio perché questa parola “coraggio” non sia una bella parola di
passaggio, non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un
impiegato della chiesa che viene e vi dice “coraggio”, no questo
non lo voglio, vorrei che questo coraggio venga da dentro e vi spinga
a fare di tutto, devo farlo come pastore, come uomo: dobbiamo
affrontare con solidarietà tra voi, anche tra noi, tutti con
solidarietà e intelligenza questa sfida storica».
Francesco si è poi soffermato sulla
crisi economica, affermando che essa è «la conseguenza di una
scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia,
un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro.
Dio ha voluto che al centro non ci sia un idolo, ma un uomo e una
donna. Il mondo è diventato idolatra, comanda il denaro. Cadono gli
anziani, perché in questo mondo non c'è posto per loro. Alcuni
parlano di questa eutanasia nascosta, perché non vengono curati,
vengono lasciati perdere».
Alla fine, il Pontefice ha ascoltato
le testimonianze dei lavoratori e ha innalzato la sua preghiera
davanti alle migliaia di fedeli: «Signore Dio guardaci, guarda
questa città e questa isola, guarda le nostre famiglie. Signore a te
non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice. Signore
ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi
ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore aiutati ad aiutarci
tra noi, a dimenticare l'egoismo e a sentire il “noi”, il “noi
popolo” che vuole andare avanti. Insegnaci a lottare per il lavoro.