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venerdì 25 aprile 2025
 
 
Credere

Silvia Apollonio - Donare il sangue è come un’opera di misericordia

09/02/2016  «Non si tratta di cedere qualcosa di superfluo, ma di fare attenzione a chi ha realmente bisogno». Il 20 febbraio in San Pietro il Papa attende 20 mila donatori

L’ultimo che ho convinto a donare il sangue è mio marito: siamo andati al centro di raccolta appena tornati dal viaggio di nozze». Silvia Apollonio, valtellinese di 33 anni, ha chiesto allo sposo un regalo di nozze un po’ particolare. È il frutto del suo impegno di tanti anni in Avis, di cui è stata membro del Direttivo giovani.
L’associazione, la più grande in Italia (1.325.000 iscritti, un italiano su 45), sta organizzando i pullman che da tutta Italia raggiungeranno Roma per il Giubileo dei donatori di sangue, il 20 febbraio. In piazza San Pietro sono attesi 20 mila pellegrini, di cui 12 mila di Avis (Fidas, Fratres e Croce Rossa le altre sigle principali): parteciperanno all’Udienza e attraverseranno la Porta santa di San Pietro. «Donare il sangue è prima di tutto un aiuto concreto importante, ma è anche un dono carico di significato», dice Silvia. «Non significa cedere una cosa che non ti serve più ed è diventata superflua. Si potrebbe interpretare come un’opera di misericordia, in cui riconoscere attenzione agli altri che vivono in uno stato di bisogno. La società non può fare a meno di questo dono: il sangue non si riesce a creare in laboratorio e gli emoderivati sono farmaci salvavita che non possono essere prodotti in fabbrica».

L’INVITO DI PAPA WOJTYLA

Nel Giubileo dei donatori del 2000, Giovanni Paolo II aveva detto: «Che cosa vi è di più personale del proprio sangue? Nella luce di Cristo, il dono al fratello di questo elemento vitale trascende l’orizzonte semplicemente umano».
Potrebbe stupire una giornata dell’Anno giubilare dedicata a questo tema, ma la Chiesa cattolica incoraggia da tempo tale forma di impegno. Alle udienze o all’Angelus capita spesso che vengano salutate le sezioni provinciali dei donatori, così come diversi Pontefici hanno ricevuto i dirigenti nazionali dell’Avis, l’associazione nata a Milano nel 1927. Un’udienza speciale fu quella del marzo 1959 con Giovanni XXIII quando, davanti a 5 mila “avisini” con le bandiere spiegate, il Papa buono regalò al fondatore Vittorio Formentano una preghiera da lui composta, da allora nota come Preghiera del donatore. In occasione dell’ottantesimo dalla fondazione, invece, Benedetto XVI indicò con ammirazione i valori dell’associazione: «Vita, gratuità e solidarietà». Effettivamente è questo lo spirito con cui si dona il sangue in Italia: nonostante esista una legge che prevede un giorno di riposo retribuito per chi effettua una donazione, l’80% non ne usufruisce (di solito utilizza questa opzione chi svolge professioni impegnative dal punto di vista fisico).

UN GESTO UNIVERSALE

  

Per Silvia, che oggi insegna Letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano, «la scelta di donare il sangue è profondamente collegata al messaggio cristiano e alle esperienze di volontariato vissute nella parrocchia della Valtellina dove sono cresciuta e dove facevo la catechista». D’altro canto, lei che ha avuto ruoli importanti nel coordinamento dell’Avis, ci tiene a sottolinearne il carattere aconfessionale: «Per molti donare è un modo di vivere l’attenzione evangelica al prossimo, ma per altri può avere motivazioni diverse. Scopriamo allora che donare il sangue diventa un gesto universale che unisce credenti e non, oppure credenti di differenti religioni». «Progettavo di essere una donatrice fin da giovanissima», dice Silvia. La madre le ripeteva spesso che durante il parto del fratello, più piccolo di tre anni, aveva avuto bisogno di una trasfusione. Eppure, spente le diciotto candeline, è proprio la mamma a frenare Silvia: «Aveva un po’ di timore misto a senso di protezione materno». A 23 anni, però, la ragazza decide di andare comunque al centro raccolta: «A mia madre l’ho detto a cose fatte e si è subito tranquillizzata», sorride. Da allora non ha mai smesso di tornarci due volte l’anno. Spiega: «È la frequenza permessa alle donne in età fertile, mentre sale a quattro prelievi per gli uomini o le donne in età non fertile».
Silvia ha fatto anche il servizio civile in Avis, andando a parlare in scuole e associazioni sportive per promuovere tra i giovani una cultura del dono e della solidarietà. Dopo quel periodo non ha mai lasciato la vita associativa: «Lì ho trovato alcuni amici diventati – è il caso di dirlo – “fratelli di sangue”».

UNA CATENA DI SOLIDARIETÀ

Qualche anno fa, quando faceva una supplenza in un liceo di Milano, ha parlato in classe del suo impegno, proponendo agli studenti maggiorenni di donare presso l’unità mobile che stazionava all’uscita, in occasione di una campagna svolta dall’Avis insieme alla scuola. «In particolare un ragazzo si era appassionato alle sacche di sangue che si destinano ai neonati», ricorda. Nel frattempo Silvia ha convinto tanti a diventare soci dell’associazione: «Mia sorella, colleghi e amici: quando ricevono la tessera, mi mandano subito la foto…».
L’osso più duro però è stato il futuro marito: «All’inizio rischiava di svenire per la paura, ma poi è riuscito a superarsi». Veramente una grande prova d’amore.

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