C’è stato un momento – era il 1993 - in cui l’Italia ha sperimentato l’ebbrezza di un rappresentante eletto dal popolo senza mediazioni e al popolo legato da un rapporto diretto. E’ stata la cosiddetta “primavera dei sindaci”: si eleggeva il candidato con sistema maggioritario, e chi vinceva governava una città per 5 anni.
Una piccola rivoluzione. E un taglio netto con le segreterie di partito, brave fin lì a fare e disfare in corso di “sindacatura”, facendo cadere giunte e amministratori in un maneggio continuo in cui il cittadino era solo spettatore pagante.
Il sistema elettorale varato allora ha dato vita a figure ed esperienze spesso interessanti: Bianco a Catania, Orlando a Palermo, Poli Bortone a Lecce, Castellani a Torino, Guazzaloca a Bologna. Sotto ogni atto di queste giunte comunali, un nome e un cognome, di destra o sinistra non importa, ma chiaro, riconoscibile. Una ventata di aria fresca. Un’epoca di responsabilizzazione, chiarificazione, semplificazione nel rapporto tra cittadini e politica.
Poi qualcosa è cambiato. Tra i nostri primi cittadini si è diffusa una sindrome subdola: l’ubriacatura da sindaco. Reso un po’ alticcio dal suo rapporto diretto con gli elettori, ha iniziato a pensarsi inattaccabile, quasi “irresponsabile”, in senso tecnico e giuridico, di fronte alla legge.
In linea con quanto avveniva sullo scenario nazionale, anche i nostri primi cittadini hanno pensato che bastassero i voti ricevuti per essere nel giusto. Come se fosse stato il popolo a investire i sindaci di autorità non la legge attraverso il popolo.
E’ proprio quel che sta accadendo a Napoli. Luigi De Magistris, sindaco eletto – anzi “elettissimo” come direbbe lui - non “vuole dimettersi” pur essendo “sospeso” (secondo la legge Severino) per una condanna in primo grado (abuso d’ufficio) legata alla sua precedente vita di magistrato.
Noi pensiamo davvero che sia in buona fede. E che faccia perfino bene a non dimettersi: una cosa è la sospensione, tutt’altra lasciare la poltrona per sempre, quando ancora manca un giudizio definitivo. Ma allora che bisogno c’è di aggiungere il resto?
De Magistris ci fa sapere infatti di essere stato “tentato” dal condurre una “lotta fuori delle istituzioni, seguendo il “pensiero libero sul modello di De André e Erri De Luca”. Poteva scegliere, dice, “la disobbedienza civile, rifiutarmi di firmare la sospensione perché non riconoscevo l’atto. Invece l’ho ricevuto e ho firmato”. Ecco il punto: caro sindaco, lei non poteva che firmare, accettare, riconoscere. Non c’è nulla di sovrumano in questo. E’ soltanto, banalmente, semplicemente la legge. Quella che lei stesso ha applicato per anni e su cui si fonda la nostra democrazia, per quanto “malata”, come dice lei. Fatte salve tutte le garanzie di un giudizio penale (e politico) non è il popolo che decide. E’ la legge, bellezza.