Con il cardinale Maurilio Fossati condivide un originale record: l’aver curato due ostensioni. Il suo predecessore si occupò di quella organizzata nel 1931, in occasione delle nozze tra il principe Umberto II di Savoia e la principessa Maria José, e di quella voluta nel 1933, Anno santo straordinario, indetto per celebrare il diciannovesimo centenario della Redenzione; lui si appresta aguidare la prossima, dopo aver coordinatoquella del 2000, in assoluto la più lunga dellastoria recente: ben 72 giorni.
Il cardinale Severino Poletto, sacerdote dal 1957, è stato vescovo di Fossano e poi di Asti; dal 1999 è arcivescovo di Torino. «Ricordo la prima volta che vidi la Sindone dal vivo», esordisce. «Fu nel 1978. Accompagnavo in pellegrinaggio la mia gente. Ero parroco a Maria Assunta, a Casale Monferrato,in una zona chiamata Oltreponte, un quartiere di immigrati e di operai. Rimanemmo in coda due ore se non addirittura tre. Tanta attesa, nessuna spiegazione. Dall’ostensione del 1998 non è più così».
«La nostra fede non si fonda sulla Sindone, bensì sul Vangelo e sui testimoni diretti, cioè sugli apostoli, che hanno annunciato Gesù Cristo crocifisso e risorto, il Salvatore», precisa il cardinale Poletto. «Aggiungo però che la Sindone aiuta la fede. Quell’immagine, misteriosa per la scienza e sfida per l’intelligenza, come l’hadefinita Giovanni Paolo II, è un “racconto”della passione di Cristo. Il corpo e il volto dell’uomo della Sindone riportano, con impressionante chiarezza, i segni delle stesse identiche torture cui fu sottoposto Gesù: l’uomo avvolto da quel lenzuolo, infatti, fu flagellato, coronato di spine, crocifisso e colpito con una punta acuminata al costato. Davvero la Sindone è specchio del Vangelo, come ha ricordato papa Wojtyla in visita a Torino, il 24 maggio 1998».
«L’ostensione è un evento dal preciso carattere spirituale e pastorale», continua l'arcivescovo di Torino. «Dall’ottobre 2009 al marzo 2010, le comunità parrocchiali della diocesi sono state chiamate a meditare sul tema scelto: Passio Christi, passio hominis (la passione di Cristo, la passione dell’uomo, ndr). Sono stati organizzati incontri di preghiera, liturgie della Parola, conferenze».
Impossibile eludere la domanda: è proprio quello il telo che avvolse Gesù depostodalla croce? «L’ho ribadito anche nel messaggio scritto in vista della Pasqua di quest’anno: lasciamo agli scienziati e agli storici seri, non ai prevenuti in partenza, il compito di valutare e risolvere la questione relativa all’autenticità della Sindone», puntualizza il cardinale Poletto. «A noi basta sapere che quanti l’hanno studiata a lungo, e con criteri scientifici oggettivi, finora non sono riusciti a spiegare come si sia formata quell’immagine, concludendo che non è certamente un manufatto. Ripeto: l’ostensione è un evento di naturaprettamente spirituale. Quel volto indica a tutti la stretta relazione tra la passione del Signoree le sofferenze umane, passate e presenti. La Sindone ricorda all’uomo moderno il dramma di tanti fratelli e lo invita a interrogarsi sul mistero del dolore, per approfondirne le cause senza cadere nella disperazione e nel nichilismo. Solo la croce salvifica di Gesù getta un fascio di luce sull’oscurità misteriosa delle sofferenze di fronte alle quali restiamo muti, disorientati. Penso agli ammalati e ai moribondi, ai poveri che abitano le nostre città, a coloro che hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione, alle famiglie lacerate e divise, alla fatica di molti immigrati onesti che non si sentono accolti e integrati, alla Chiesa perseguitata in molte parti del mondo».
«La Sindone, ricordava Giovanni Paolo II, è anche immagine del silenzio», conclude l’arcivescovo di Torino. «C’è il silenzio tragico dell’incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, ma c’è pure il silenziodella fecondità, che è proprio di chi vuol raggiungere le radici della verità e dellavita. La Sindone è commovente conferma del fatto che l’onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è fermata da nessuna forza del male. E ci ricorda che, risorgendo, Gesù ha superato per sé e per noi la barriera della morte. Questo grande evento è garanzia della nostra risurrezione».
Il 1898 fu un anno di grande importanza per la Sindone: la prima fotografia, scattata da Secondo Pia, fu l’evento che segnò l’inizio degli studi scientifici che in questi cento e più anni si sonosviluppati in vari settori.
1) La fotografia. L’immagine ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico.
2) L’analisi medico-legale. La lettura“topografica”dell’immagine, effettuata da numerosi medici, primo fra tutti il francese Pierre Barbet, ha messo in evidenza numerose ferite e lesioni che hanno consentito di provare che si tratta dell’immagine lasciata dal cadavere di un uomo flagellato e torturato prima di essere crocifisso.
3) Le tracce biologiche. Gli studi effettuati su campioni prelevati nel 1978 dal torinese Pierluigi Baima Bollone e dagli americani John Heller e Alan Adler hanno consentito di dimostrare che le macchie di colore rosso visibili sulla Sindone sono realmente macchie di sangue umano di gruppo AB. I prelievi di microtracce effettuati nel 1973 e nel 1978 dallo svizzero Max Frei Sulzer hanno permesso di rinvenire granuli di polline provenienti da piante che crescono solo in Palestinae in Anatolia, dimostrando la probabile permanenza della Sindone in tali regioni.
4) L’analisi digitale dell’immagine. Gli americani John Jackson e Eric Jumper, nel 1977, e i torinesi Giovanni Tamburelli e Nello Balossino, nel 1978, sottoposero l’immagine della Sindone a elaborazione elettronica scoprendo che essa possiede caratteristiche tridimensionali di certo non possedute né da dipinti né da normali fotografie e che sulla palpebra destra sono visibili tracce lasciate da un oggetto identificabile molto probabilmente con una moneta romana coniata nella prima metà del primo secolo d.C.
5) Le modalitàdi formazione dell’immagine.Soprattutto in seguito agli studi effettuati dagli scienziati statunitensi dello Sturp (Shroud of Turin research project) sui dati e sui campioni raccolti nel1978, è stato accertato che nelle zone in cui è presente l’immagine sono assenti pigmenti e coloranti (non si tratta di un dipinto): l’immagine corporea è dovuta a un processo d’ossidazione e disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del tessuto, che è assente al di sotto delle macchie ematiche (si è dunque formata successivamente a esse) e che è estremamente superficiale, solo qualche centesimo di millimetro. Numerosi sono stati i tentativi sperimentali di riprodurre (a partire da un cadavere o attraverso metodi artificiali) un’immagine simile a quella sindonica, ma finora si sono dimostrati tutti carenti o perché non correlati da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche di natura fisico-chimica molto diverse da quelle possedute dall’immagine sindonica, che pertanto, ancora oggi, dev’essere considerata un’immagine irriproducibile.
6) La datazionedel tessuto. Nel 1988, la datazione di un campione di tessuto effettuata con il metodo del radiocarbonio (C14) dai laboratori di Oxford (Regno Unito), Zurigo (Svizzera) e Tucson (Arizona, Usa) ha fornito una datacompresa tra il 1260 e il 1390 d.C. Questo risultato è tuttora oggetto di un ampio dibattitotra gli studiosi circa l’attendibilità dell’uso del metodo del radiocarbonio per datare un oggetto con caratteristiche storiche e chimico-fisiche così peculiari come la Sindone. La datazione medievale contrasta con vari risultati ottenuti in altri campi di ricerca e inoltre non è facile accertare se nel corso dei secoli non si è aggiunto nuovo C14 a quello del telo. È stato provato che contaminazioni di tipo biologico, chimico e tessile sono in grado di alterare considerevolmente l’età radiocarbonica di un tessuto. Pertanto, al momento attuale, il problema della datazione del tessuto sindonico risulta aperto e non ancora risolto.
Professor Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di sindonologia
L’inizio della storia documentata della Sindone risale alla metà del XIV secolo, quando il prode cavaliere Geoffroy de Charny, prima della sua morte avvenuta nel 1356, consegnò alla chiesa da lui stesso fondata in Francia, a Lirey, vicino a Troyes, il lungo lenzuolo contenente la doppia immagine del corpodi un uomo torturato e crocifisso, che da subito venne accolta come la vera immagine di Gesù Cristo. Purtroppo Geoffroy e la sua famiglia non ci hanno lasciato – o almeno non ci sono stati tramandati – documenti che chiariscano quale ne fosse l’origine.
Prima di quell’epoca, le ipotesi sono tante: si parla di Edessa, dove era conservata un’importante immagine ritenuta miracolosamenteimpressa da Cristo stesso; Costantinopoli, dove all’epoca della IV crociata, nel 1203-1204, è testimoniata la presenza di una sindone figurata; Atene, dove l’anno successivo sembra fosse giunta una sindone proveniente dal saccheggio della capitale bizantina. Tuttavia né queste né altre teorie si rivelano definitive. Alcune sono più verosimili, altre più fantasiose. Per questo periodo credo dunque ci si debba limitare a prendere atto che non si può e non si deve escludere la possibilità storica dell’esistenza di un oggetto con le caratteristiche della Sindone oggi custodita a Torino.
Rimane comunque fondamentale saper leggere la storia della Sindone come la storia di una profonda devozione, un importante passaggio dell’intima speranza che ha coinvolto l’umanità credente fin dall’antichità nella ricerca del volto del Figlio, vero Dio e vero uomo, attraverso un percorso che fruisce – nel tempo – di immagini di grande impatto, come il Mandylion di Edessa, la Veronica e la Sindone, che quindi sono legate da una forte e fondante continuità spirituale, per molti versi più significativadi un ipotetico legame materiale. Dall’epoca di Geoffroy in poi, invece, conosciamo con sufficiente precisione le vicende che hanno coinvolto la Sindone, a iniziare dall’interesse immediato suscitato dalla sua comparsa, ma anche dal disagio che l’insolito oggetto provoca presso la ecclesiastica timorosa di deviazioni dottrinali. In questo ultimo scorcio del Medioevo possiamo affermare che il cultodella Sindone a livello ufficiale fu poco più che “tollerato”.
Un’evoluzione del ruolo della sua presenza nella storia si registra dopo la cessione ai Savoia, avvenuta nel 1453. Con la regolamentazione attraverso la concessione dell’ufficio liturgico da parte di papa GiulioII, finalmente il culto diviene “accettato” a tutti gli effetti, e le ostensioni a Chambéry, in Francia, si fanno solenni e ricorrenti. Con lo spostamento a Torino nel 1578 inizia il vero periodo d’oro, dove il culto è “promosso” quale reliquia dinastica di una Casa Savoia in ascesa, ma è anche strumento privilegiato di pastorale e di catechesi della Chiesa uscita dal concilio diTrento, e ineguagliabile, struggente riferimento per la pietà popolare. Un culto compatto e robusto, che tra fine Sette e Ottocento inizia a segnare un qualche cedimento per il ripensamento che anche in alcuni settori ecclesiastici viene elaborato al riguardo di forme di pietà e devozione. Rinnovato vigore al ruolo della sua presenza darà la fotografia del 1898, svelando il singolare comportamento di negativo fotografico dell’impronta e consentendo una larga diffusione della sua riproduzione. Da allora risulta ineludibile la questione scientifica dell’origine, che incontrastata presidia l’approccio con la Sindone nel XX secolo. Un approccio che alimentò dibattiti e polemiche, ancora oggi non sopiti, e rischiò seriamente di compromettere il sereno e fecondo rapporto spirituale con la Sindone, subordinandolo alla questione scientifica. Gli anni Settanta del secolo scorso furono quelli che più corsero questo pericolo, quando fu anche soppressa l’ostensione pubblica a favore di una più prudente presentazione televisiva. Tuttavia Paolo VI colse l’occasione per tenere una profonda riflessione che chiarì, riequilibrandolo, il rapporto tra significato spirituale e curiosità scientifica.
Su tale strada il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero, appena giunto a Torino, animato dalla propria profonda spiritualità carmelitana, volle tornare all’ostensione tradizionale, accompagnata da una attenta riflessione pastorale, che conobbe un’incredibile partecipazione di fedeli. Le ostensioni del 1998 e del 2000, come anche quella di quest'anno, e soprattutto la riflessione che scaturisce dal profondo e basilare intervento che Giovanni Paolo II, pellegrino a Torino, tenne sulla Sindone, ne hanno compiutamente recuperato il significato pastorale – peraltro mai realmente negletto – con il risultato di consentire ai fedeli di accostarsi con maggior responsabilità alla Sindone e a tutti di trarne i profondi spunti di riflessione di cui è ricca quell’immagine.
Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone