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martedì 17 settembre 2024
 
Sindrome di Down
 
Benessere

Sindrome di Down, Come vivere con un figlio speciale

03/10/2015  Tre mamme “coraggio” raccontano il segreto della loro famiglia: avere sempre grinta e determinazione, anche nelle situazioni più difficili.

Sophia ha 16 anni e vive a Oxford, in Gran Bretagna, ma ha una mamma italiana: Maria Rosa, laureata alla Cattolica di Milano, è professore ordinario di filosofia al prestigioso King’s College di Londra. È un accademico anche il papà, Howard, di origine americana, che insegna Storia all’Università di Oxford. Sophia ha due fratelli: John, studente a Cambridge, e Francesca, 12 anni. Alessandro, invece, vive a Varese; ha 19 anni e ha appena concluso il triennio di studio al Centro di formazione professionale “La nostra famiglia” di Castiglione Olona (Varese).
La mamma Laura lavora a Milano, ha perso il marito quando aveva 39 anni e ora è lei il sostegno di Ale e del fratello Andrea. Emma, infine, ha 10 anni e due fratelli, Giulia di 13 e Cesare di 9, e vive con mamma Martina, che si occupa di mostre d’arte, e con papà Paolo Orlandoni, ex portiere dell’Inter. Tre storie, tre famiglie diverse; in comune, la sindrome di Down. Maria Rosa, Laura e Martina sono tre “mamme coraggio” che ogni giorno affrontano con grinta e determinazione un ménage familiare complesso, spesso molto faticoso, ma volutamente sereno e gioioso, dove tutti cercano il modo migliore per far star bene ciascuno.

Tutte e tre raccontano volentieri il loro “segreto”, che stranamente coincide: il cuore di tutto è, infatti, la forza della propria famiglia. «Fin dalla nascita di Sophia», racconta la filosofa londinese, «abbiamo avuto chiara l’idea che era la nostra famiglia a dover guidare gli altri; non ci si può aspettare che le persone sappiamo come comportarsi con una persona Down. Ma se noi mostriamo l’orgoglio che proviamo per nostra figlia e facciamo vedere nei nostri atteggiamenti quotidiani che la riconosciamo come una persona preziosa, anche gli altri imparano a fare lo stesso». E così, la famiglia Hotson è sempre andata ovunque a testa alta, sempre tutti insieme, con i tre figli e il sorriso sulle labbra quando si trattava di presentare Sophia e la sua sindrome: al cinema, a teatro, al parco o ai musei, al ritmo della più debole, certamente, ma unita e per questo più forte.

«La famiglia è sempre il centro di tutto », conferma infatti Martina, «e quando c’è accoglienza si è a metà del cammino… I fratelli di Emma sono dei punti di riferimento insostituibili. Giulia è più grande e ha da sempre avuto un approccio molto protettivo, pronta a stimolare Emma, incoraggiarla e aiutarla. Cesare, invece, è il fratello minore e per lui avere una sorella speciale è normale… di conseguenza, la tratta con spontaneità, anzi direi che non le risparmia nulla e questa è una grande scuola di vita per Emma». «Non potrei mai immaginare la mia vita senza Ale», rincara con convinzione Laura, «anche se, quando è nato, io e mio marito non eravamo assolutamente preparati ad avere un figlio Down. Ma è arrivato, e con lui la sindrome. Era nostro figlio e non ci importava altro. Certo, la vita che immaginavamo aspettando un figlio era scomparsa, ma ne è nata un’altra. E noi siamo rinati con questo figlio. Così i suoi limiti e le sue fragilità hanno contraddistinto il nostro tempo.
Ciò che mi infastidisce di più è che si provi pietà e compassione per le persone come Ale e per i suoi familiari. Noi non abbiamo mai provato disagio con lui e nostro figlio non è mai stato un problema». Certo, con questi figli “speciali” la vita di famiglia non è semplice e le energie delle tre mamme sono senza fine. Senza dimenticare padri e fratelli. «Per nostra figlia», spiega Maria Rosa «i fratelli sono come due rocce, che la sopossistengono da parte a parte. Dopo l’arrivo di Sophia, la nostra scelta di avere un terzo figlio aveva proprio questo significato: creare per lei una vera alleanza, che potesse sostenerla nel cammino della vita. E di fatto è cosi: sia John che Francesca vogliono tantissimo bene alla sorella, non l’hanno mai sentita come un peso, la presentano agli amici, conoscono le sue fatiche fisiche e le sue grandi debolezze e cercano in ogni modo di esserle di aiuto».

Lo stesso sentimento di “squadra” vive a casa di Laura: «In casa Alessandro è molto collaborativo; spesso è lui ad accudire la nonna, per esempio ricordandole che deve prendere le medicine. Con Andrea ha un rapporto da fratello: a volte litigano, a volte guardano insieme un film o giocano alla Play; poi hanno anche i loro momenti separati, in cui ciascuno vive i propri impegni. A volte il mio pensiero va proprio al fratello “normale”: cerco di difendere i suoi spazi perché non voglio caricare sulle sue spalle responsabilità troppo grandi per la sua età». E insieme alla famiglia, si cercano molti altri “alleati” per sostenere la fatica: a volte sono la scuola, in particolare i compagni, la parrocchia, altre volte sono le famiglie stesse dei Down. «Emma era ed è una bambina come tutti gli altri, solo con qualche bisogno in più, ma questo», dice Martina, «lo abbiamo scoperto solo nel tempo; all’inizio eravamo molto preoccupati perché era un mondo del tutto sconosciuto. Le fatiche più grandi da affrontare sono quelle che riguardano il resto del mondo, sostenere lo sguardo degli altri all’inizio non è facile; la lotta con la burocrazia che complica invece che semplificare una vita già complicata, la scuola… Ma ci sono anche le alleanze con i genitori che ci sono passati prima di te, che ti danno consigli e sostegno, insegnanti illuminati che trovano strategie educative efficienti, adulti con sindrome di Down che hanno una vita possibile, un lavoro, una casa, un mutuo e che ti danno una prospettiva diversa da quella che ti immaginavi». Sophia, pur con un sostegno costante, va in una scuola “normale”, in una classe di ragazzi di due anni più piccoli, e fa tutto quello che è nelle sue possibilità. I compagni l’adorano ed è la mascotte della classe: «Il punto è spronare costantemente i suoi insegnanti perché non si accontentino e le offrano sempre nuovi stimoli. Così ha imparato a leggere parole semplici, sa fare lo spelling di cento vocaboli, addizioni e sottrazioni. Per lei sono delle conquiste grandissime, di cui è felicissima!».

Anche Laura non ha mai smesso di “combattere” con il sistema scolastico: «L’anno prossimo Ale frequenterà il quarto anno, in preparazione all’inserimento lavorativo e per avere sempre maggiore autonomia; ho sempre cercato di offrirgli tutte le opportunità per diventare il più possibile autonomo, tenendo conto delle sue capacità». Per la famiglia di Laura, anche lo sport e la parrocchia sono un buon appoggio: Ale gioca a baskin (un basket integrato con squadre miste di ragazzi disabili e normodotati) e va in oratorio ogni volta che può. Sophia invece fa la chierichetta in chiesa e le piace la danza. Una passione anche per Emma: «Nostra figlia ama la danza e nuota come un pesce. A scuola è molto ben inserita, ha dei compagni straordinari e ha avuto la fortuna di avere un’insegnante curriculare e una di sostegno che l’hanno capita, sostenuta e apprezzata». La vita riserva sempre sorprese, e spesso in casa sono proprio i figli Down a dare lezioni di vita. Anche quando neppure la salute è dalla loro parte, come nel caso di Sophia: «Per nostra figlia, che è affetta da un gravissimo problema cardiaco dalla nascita, ogni cosa richiede uno sforzo e una fatica enormi, ma ogni passo compiuto, ogni conquista sono vissute da lei con una soddisfazione e una gioia straordinarie, che valgono più di mille discorsi. È una persona eccezionale: sa dire poche parole, ma comunica con l’anima; ha la capacità di mettere a nudo il valore dell’essere umano e sa prendere dalla vita ogni gioia che le può dare, pur con tutti i suoi limiti. E questa è una scuola eccezionale per tutti quelli che hanno la fortuna e la pazienza di spendere del tempo con lei». Parole simili sgorgano dal cuore di Martina quando racconta di Emma: «È una bambina solare, radiosa, felice, una bomba di energia e di entusiasmo. Ha un approccio verso la vita che le invidio molto: sempre ottimista, vede sempre il lato bello delle cose e va incontro alle persone con fiducia, sa cogliere l’attimo, non rimpiange, ma vive il presente»

 
 
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