Sophia ha 16 anni e vive a
Oxford, in Gran Bretagna, ma
ha una mamma italiana: Maria
Rosa, laureata alla Cattolica di
Milano, è professore ordinario di filosofia
al prestigioso King’s College di Londra.
È un accademico anche il papà,
Howard, di origine americana, che insegna
Storia all’Università di Oxford.
Sophia ha due fratelli: John, studente a
Cambridge, e Francesca, 12 anni.
Alessandro, invece, vive a Varese; ha
19 anni e ha appena concluso il triennio
di studio al Centro di formazione professionale
“La nostra famiglia” di Castiglione
Olona (Varese).
La mamma Laura
lavora a Milano, ha perso il marito
quando aveva 39 anni e ora è lei il sostegno
di Ale e del fratello Andrea.
Emma, infine, ha 10 anni e due fratelli,
Giulia di 13 e Cesare di 9, e vive con mamma Martina, che si occupa di mostre
d’arte, e con papà Paolo Orlandoni,
ex portiere dell’Inter. Tre storie, tre famiglie
diverse; in comune, la sindrome
di Down.
Maria Rosa, Laura e Martina sono tre
“mamme coraggio” che ogni giorno affrontano
con grinta e determinazione
un ménage familiare complesso, spesso
molto faticoso, ma volutamente sereno
e gioioso, dove tutti cercano il modo
migliore per far star bene ciascuno.
Tutte e tre raccontano volentieri il loro
“segreto”, che stranamente coincide:
il cuore di tutto è, infatti, la forza della
propria famiglia.
«Fin dalla nascita di Sophia», racconta
la filosofa londinese, «abbiamo
avuto chiara l’idea che era la nostra famiglia
a dover guidare gli altri; non ci
si può aspettare che le persone sappiamo
come comportarsi con una persona
Down. Ma se noi mostriamo l’orgoglio
che proviamo per nostra figlia
e facciamo vedere nei nostri atteggiamenti
quotidiani che la riconosciamo
come una persona preziosa, anche gli
altri imparano a fare lo stesso». E così,
la famiglia Hotson è sempre andata
ovunque a testa alta, sempre tutti insieme,
con i tre figli e il sorriso sulle labbra
quando si trattava di presentare Sophia
e la sua sindrome: al cinema, a teatro, al
parco o ai musei, al ritmo della più debole,
certamente, ma unita e per questo
più forte.
«La famiglia è sempre il centro di tutto
», conferma infatti Martina, «e quando
c’è accoglienza si è a metà del cammino…
I fratelli di Emma sono dei punti
di riferimento insostituibili. Giulia è più
grande e ha da sempre avuto un approccio
molto protettivo, pronta a stimolare
Emma, incoraggiarla e aiutarla.
Cesare, invece, è il fratello minore e per
lui avere una sorella speciale è normale…
di conseguenza, la tratta con spontaneità,
anzi direi che non le risparmia
nulla e questa è una grande scuola di vita
per Emma».
«Non potrei mai immaginare la mia
vita senza Ale», rincara con convinzione
Laura, «anche se, quando è nato,
io e mio marito non eravamo assolutamente
preparati ad avere un figlio
Down. Ma è arrivato, e con lui la sindrome.
Era nostro figlio e non ci importava
altro. Certo, la vita che immaginavamo
aspettando un figlio era scomparsa,
ma ne è nata un’altra. E noi siamo rinati
con questo figlio. Così i suoi limiti e
le sue fragilità hanno contraddistinto il
nostro tempo.
Ciò che mi infastidisce di
più è che si provi pietà e compassione
per le persone come Ale e per i suoi familiari.
Noi non abbiamo mai provato
disagio con lui e nostro figlio non è mai
stato un problema».
Certo, con questi figli “speciali” la vita
di famiglia non è semplice e le energie
delle tre mamme sono senza fine.
Senza dimenticare padri e fratelli. «Per
nostra figlia», spiega Maria Rosa «i fratelli
sono come due rocce, che la sopossistengono
da parte a parte. Dopo l’arrivo
di Sophia, la nostra scelta di avere
un terzo figlio aveva proprio questo significato:
creare per lei una vera alleanza,
che potesse sostenerla nel cammino
della vita. E di fatto è cosi: sia John
che Francesca vogliono tantissimo bene
alla sorella, non l’hanno mai sentita
come un peso, la presentano agli amici,
conoscono le sue fatiche fisiche e le sue
grandi debolezze e cercano in ogni modo
di esserle di aiuto».
Lo stesso sentimento di “squadra”
vive a casa di Laura: «In casa Alessandro
è molto collaborativo; spesso è lui
ad accudire la nonna, per esempio ricordandole
che deve prendere le medicine.
Con Andrea ha un rapporto da
fratello: a volte litigano, a volte guardano
insieme un film o giocano alla Play;
poi hanno anche i loro momenti separati,
in cui ciascuno vive i propri impegni.
A volte il mio pensiero va proprio
al fratello “normale”: cerco di difendere i suoi spazi perché non voglio caricare
sulle sue spalle responsabilità troppo
grandi per la sua età». E insieme alla
famiglia, si cercano molti altri “alleati”
per sostenere la fatica: a volte sono
la scuola, in particolare i compagni, la
parrocchia, altre volte sono le famiglie
stesse dei Down. «Emma era ed è una
bambina come tutti gli altri, solo con
qualche bisogno in più, ma questo», dice
Martina, «lo abbiamo scoperto solo
nel tempo; all’inizio eravamo molto
preoccupati perché era un mondo del
tutto sconosciuto. Le fatiche più grandi
da affrontare sono quelle che riguardano
il resto del mondo, sostenere lo
sguardo degli altri all’inizio non è facile;
la lotta con la burocrazia che complica
invece che semplificare una vita
già complicata, la scuola… Ma ci sono
anche le alleanze con i genitori che ci
sono passati prima di te, che ti danno
consigli e sostegno, insegnanti illuminati
che trovano strategie educative efficienti,
adulti con sindrome di Down
che hanno una vita possibile, un lavoro,
una casa, un mutuo e che ti danno
una prospettiva diversa da quella che ti
immaginavi».
Sophia, pur con un sostegno costante,
va in una scuola “normale”, in una
classe di ragazzi di due anni più piccoli,
e fa tutto quello che è nelle sue possibilità. I compagni l’adorano ed è la mascotte
della classe: «Il punto è spronare
costantemente i suoi insegnanti perché
non si accontentino e le offrano sempre
nuovi stimoli. Così ha imparato a leggere
parole semplici, sa fare lo spelling di
cento vocaboli, addizioni e sottrazioni.
Per lei sono delle conquiste grandissime,
di cui è felicissima!».
Anche
Laura non ha mai smesso di “combattere”
con il sistema scolastico: «L’anno
prossimo Ale frequenterà il quarto anno,
in preparazione all’inserimento lavorativo
e per avere sempre maggiore
autonomia; ho sempre cercato di offrirgli
tutte le opportunità per diventare il
più possibile autonomo, tenendo conto
delle sue capacità».
Per la famiglia di Laura, anche lo
sport e la parrocchia sono un buon appoggio:
Ale gioca a baskin (un basket
integrato con squadre miste di ragazzi
disabili e normodotati) e va in oratorio
ogni volta che può. Sophia invece
fa la chierichetta in chiesa e le piace la
danza. Una passione anche per Emma:
«Nostra figlia ama la danza e nuota come
un pesce. A scuola è molto ben inserita,
ha dei compagni straordinari e ha
avuto la fortuna di avere un’insegnante
curriculare e una di sostegno che l’hanno
capita, sostenuta e apprezzata». La vita riserva sempre sorprese, e
spesso in casa sono proprio i figli Down
a dare lezioni di vita. Anche quando
neppure la salute è dalla loro parte, come
nel caso di Sophia: «Per nostra figlia,
che è affetta da un gravissimo problema
cardiaco dalla nascita, ogni cosa
richiede uno sforzo e una fatica enormi,
ma ogni passo compiuto, ogni conquista
sono vissute da lei con una soddisfazione
e una gioia straordinarie,
che valgono più di mille discorsi. È una
persona eccezionale: sa dire poche parole,
ma comunica con l’anima; ha la
capacità di mettere a nudo il valore
dell’essere umano e sa prendere dalla
vita ogni gioia che le può dare, pur con
tutti i suoi limiti. E questa è una scuola
eccezionale per tutti quelli che hanno
la fortuna e la pazienza di spendere
del tempo con lei». Parole simili sgorgano
dal cuore di Martina quando racconta
di Emma: «È una bambina solare,
radiosa, felice, una bomba di energia e
di entusiasmo. Ha un approccio verso
la vita che le invidio molto: sempre ottimista,
vede sempre il lato bello delle cose
e va incontro alle persone con fiducia,
sa cogliere l’attimo, non rimpiange,
ma vive il presente»