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martedì 10 settembre 2024
 
Il caso
 

Sinner, il doping e l'invidia

24/08/2024  Perché ci piace tanto prendercela con chi ha successo

«Gli italiani perdonano tutto, ai ladri, agli assassini, ai sequestratori, a tutti, ma non perdonano il successo». Le parole di Enzo Ferrari tornano in mente adesso, a una settimana dalla pubblicazione della sentenza che attribuisce a Jannik Sinner «nessuna colpa o negligenza per le due violazioni delle norme antidoping». L’International Tennis Integrity Agency e tre giudici di cui si è avvalso il Tribunale indipendente che ha giudicato il tennista hanno provato l’assunzione involontaria del Clostebol, (valori infinitesimali erano stati trovati nel corpo dell’atleta a marzo) ma, poiché il giocatore è responsabile anche del suo staff (era stato il fisioterapista che, curandosi una ferita da taglio alla mano gli aveva passato la sostanza attraverso la pelle) gli sono stati tolti 400 punti e il premio di 325mila dollari vinti all’Indian Wells.

E, come spesso accade, i leoni da tastiera si sono scatenati. Colpevolisti - che vorrebbero una bella sospensione -  e innocentisti. Improvvisati esperti pronti a spiegare effetti, dosi e funzionamento di un farmaco di cui fino al minuto prima ignoravano persino il nome, “professori di diritto” che fanno lezioni di norme internazionali, ricorsi, giustizia sportiva e civile, “tecnici” sportivi che pontificano sulle prossime mosse di Sinner, giornalisti che sono pronti a raccontare minuto per minuto il perché  e il per come di tutta la vicenda.

Eppure. Eppure è un fatto che, questa volta, nessuno davvero sapeva quel che bolliva in pentola. Da marzo a oggi una notizia così esplosiva è riuscita a rimanere segreta. Forse ormai siamo abituati a muoverci fra comunicati stampa e portavoce, a mettere in pagina notizie di agenzia senza neppure approfondirle, a non consumare più le suole delle scarpe per essere dentro i fatti. Per coltivare le fonti, per capire e raccontare le cose al momento giusto. È un fatto che anche nell’entourage dell’atleta abbia prevalso la serietà. Che la fedeltà al team abbia avuto la meglio sullo spifferare uno scoop dall’indubbia risonanza mediatica.

Ma adesso che tutto è alla luce del sole neppure la faccia da bravo ragazzo del campione italico riesce a tenere a bada l’odio dei mediocri che bazzicano la prateria del web. Ci avevano provato, a sporcare la sua immagine, con le illazioni sui guadagni e sulla residenza a Montecarlo. Quasi gli stessi che inneggiano all’evasione fiscale e plaudono a imprenditori alla Briatore come esempio di ricchi da imitare non perdonano a un “ragazzino” di guadagnare fior di milioni a ogni palleggio andato a segno.

Il successo ottenuto con la bravura, almeno in Italia, non genera emuli. Si preferisce tentare di imitare quelli più spregiudicati, border line, più irrispettosi delle regole. Forse perché misurarsi con la fatica, il sacrificio, il lavoro duro per ottenere un risultato, il provare e riprovare per affinare le tecniche migliori ci mette di fronte ai nostri limiti. E allora, invece di guardarci allo specchio e provare a cercare la nostra strada impegnando i talenti, pochi o tanti, che si hanno in tasca, è più facile provare a tirare giù chi è salito in alto con le proprie forze. Come se il fallimento di qualcun altro potesse davvero renderci meno mediocri.

 
 
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