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venerdì 13 settembre 2024
 
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«Il Papa non sta da solo, sopra la Chiesa, ma dentro di essa»

17/10/2015  La sessione pubblica del Sinodo dei vescovi, voluta proprio per ricordare i 50 anni del Sinodo, un organismo istituito da Paolo VI, è stata l'occasione colta da Bergoglio per chiarire il significato del papato, per invocare maggiore collegialità (laici, pastori e vescovo di Roma insieme) e per tracciare le strade su cui si muoverà la Chiesa del futuro.

«Lo scopo dei dibattiti, lo scopo dei testimoni è il discernimento comune del volere di Dio. Anche quando si vota (come alla fine di ogni sinodo), non si tratta di lotte di potere, di formazioni di partiti (di cui poi i media con piacere riferiscono), ma di questo processo di formazione comunionale del giudizio, come lo abbiamo visto a Gerusalemme. L’esito infine, così speriamo, non è un compromesso politico su un minimo comune denominatore, bensì questo “valore-aggiunto”, questo plusvalore che dona lo Spirito Santo, così da poter dire, a conclusione: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”». Parla chiaro il cardinale Christoph Schonborn, ricordando i 50 anni di istituzione del Sinodo nella sessione pubblica che l’assemblea celebra questa mattina nell'aula Paolo VI.

Al termine di una settimana di ampi dibattiti, il cardinale di Vienna ricorda che «discussioni accese, liti addirittura, e l’intenso disputare fanno naturalmente parte del cammino sinodale», ma il modello deve essere quello della Chiesa primitiva, quello del “Sinodo” di Gerusalemme in cui si consuma una delle dispute più aspre tra Pietro e Paolo. Ma quando Pietro parla, raccontando l’esperienza dell’agire di Dio, gli Atti degli apostoli raccontano che «Tutta l’Assemblea tacque». Essi, spiega Schonborn, «fanno proprio ciò che Papa Francesco ci aveva pregato di fare nel Sinodo dello scorso anno: Pietro parlò con parresia. E l’assemblea ascoltò “con umiltà”. La testimonianza di Pietro non viene subito “messa al vaglio” e criticata minuziosamente in una grande discussione. La sua parola viene accolta in silenzio e può così essere “meditata nel cuore”».

«Il conflitto va chiamato per nome», spiega il cardinale nella sua lunga relazione che spiega quello che sta succedendo e che è sempre successo nei Concili e nei Sinodi.  Parla del «metodo», Schonborn. Tema forse ostico per i non addetti ai lavori, ma «del tutto decisivo, se si vuole che il syn-odos abbia un buon esito. I dibattiti sul metodo del Sinodo non sono questioni secondarie di carattere organizzativo. Essi contribuiscono in modo molto decisivo a che il syn-odos conduca al fine».

E come già ai tempi di Paolo VI, gli attacchi al metodo del vedere, giudicare, agire, diventano attacchi al Concilio e a quella apertura al mondo che è, per dirla con padre Spadaro, «non chiudere le porte all’azione di Dio che non ha mai abbandonato la storia». La questione vera non è quella della comunione ai divorziati risposati. E neppure quella delle unioni civili. Il Sinodo non è stato convocato per scopi prettamente disciplinari. Alla prova c’è il ruolo della Chiesa nel mondo, il ruolo dei laici, di quel popolo di Dio «santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”», spiega papa Francesco citando la Evangelii gaudium, l’esercizio del primato petrino, la collegialità episcopale, il rapporto tra Santa Sede e Chiese locali, il cammino ecumenico. Tutti temi che papa Francesco riprende nel suo intervento alla fine della mattinata.

«Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», dice Bergoglio. Ribadendo che il fatto che il Sinodo agisca sempre «cum Petro e sub Petro non è una limitazione di libertà, ma una garanzia dell’unità». Ed è sotto questa unità che papa Francesco non ha paura di «decentralizzare». Secondo gli auspici che già furono di Paolo VI – e che tanti ostacoli hanno trovato per la loro attuazione – oggi Bergoglio torna a voler ridare fiato alle Chiese locali dicendo chiaramente, con lungo applauso dei padri sinodali: «Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare "decentralizzazione"».

L’obiettivo è quello di una Chiesa che “serve”, dove la piramide del potere è invertita e «il vertice si trova al di sotto della base», perché è servendo che ciascun vescovo, «diviene per la porzione di gregge a lui affidata vicarius Christi». E dove si riconosce il ruolo del popolo di Dio, il suo sensus fidei che impedisce «di sperare rigidamente tra Ecclesiam docens ed Ecclesia discens, giacché anche il gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa». Porte aperte, ascolto, sguardo positivo del mondo, come era già nel sogno di Paolo VI. Senza disperare della lentezza dell’attuazione del Vaticano II (Nicea ha impiegato secoli per essere recepito, aveva ricordato Schonborn). E sapendo che indietro non si torna, che papa Francesco continuerà a spingere per «una Chiesa sinodale che è come il vessillo innalzato tra le nazioni, in un mondo che - pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica - consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani di ristretti gruppi di potere».

Una Chiesa che, come auspicava il Concilio, «cammina insieme agli uomini, partecipe dei travagli della storia»  e che coltiva «il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell'autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell'uomo per le generazioni che verranno dopo di noi».

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