«Abbiamo fatto una buona preparazione, direi intensa, su grandi contenuti e a tutti i livelli così al Sinodo parleremo di tutto senza paure e sospetti». Il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, assicura che la volontà di papa Francesco di un dibattito libero sulla questione della famiglia e del matrimonio è stata rispettata.
Eminenza, vista la discussione tra i cardinali sulla questione della Comunione ai
divorziati risposati di questi giorni, ci si può aspettare uno scontro al Sinodo?
«Non credo, perché tutti sono convinti che l’insegnamento della Chiesa è chiaro sui principi e sulla dottrina. Nessuno nel dibattito è uscito da questo perimetro. Dunque si è fermi sulla dottrina, ma si vuole comprendere come risolvere i problemi esistenziali delle persone, caso per caso. Non si infrange alcun principio se si dice che la persona è l’ultimo giudice di se stessa. Non è la Chiesa che manda all’inferno o in paradiso. E’ la persona che decide, con il suo comportamento, la sua coscienza e l’adesione o meno alla parola di Dio, che decide dove incamminarsi. La Chiesa offre una persona e non un sistema di dottrina e una ermeneutica per comprenderla. Seguire Gesù fa la differenza».
Perché il sacramento del matrimonio è così impegnativo?
«Perché la famiglia è una realtà complessa e perché è l’unico sacramento che coinvolge due persone».
Cosa emerge dalle risposte al questionario che avete mandato in preparazione del Sinodo?
«Intanto che la stabilità del matrimonio e della famiglia è forte. Da nessuna parte del mondo lo si ritiene superato. Manca invece una conoscenza dottrinale approfondita del sacramento. Il matrimonio spesso si contrae per tradizione, come prassi abituale in molti contesti sociali. E’ scarsa la consapevolezza della sua forza religiosa e civile, e la coscienza della bellezza del matrimonio cristiano».
Responsabilità anche della Chiesa o solo del clima culturale e sociale?
«Abbiamo inviato il questionario proprio per capirlo e ci hanno ringraziato tutti per aver interpellato la base. Dalle risposte vediamo una Chiesa in difficoltà a rispondere alla sfida, e allo stesso tempo constatiamo una presa di coscienza della necessità di un maggior impegno nel rinnovare gli strumenti adeguati all’azione pastorale».
Cioè il problema non è la dottrina, ma le prassi pastorali?
«Esattamente. La dottrina va meglio spiegata, ma sono le prassi pastorali che fanno la differenza. Poi c’è un problema generale di abbandono della fede. La cresima è diventato il sacramento dell’addio. C’è il vuoto dopo la cresima nelle nostre parrocchie. E non bastano volonterosi gruppi di giovani. La fede si spegne in vista dell’età adulta e il matrimonio finisce nel cono d’ombra, insomma si fa per tradizione».
Tutto da rifare a cominciare dai corsi pre-matrimoniali?
«Dai questionari si nota una stanchezza e spesso la non adeguatezza».
Colpa dei preti?
«Direi della mancanza di una pastorale dinamica della famiglia. Molti propongono di istituire cattedre nei seminari di insegnamento su specifiche prassi pastorali dedicate alla famiglia. I preti oggi, dinanzi alle nuove sfide circa il matrimonio e la famiglia spesso si sentono in condizione di non avere gli strumenti sufficienti per rispondere».
Eppure c’è anche un Istituto dedicato alla famiglia e intitolato a Giovanni Paolo II alla Pontificia università lateranense…
«Un istituto universitario non basta e poi le sue, chiamiamole filiali nel mondo sono poche e quindi pochi sacerdoti vengono preparati per occuparsi della famiglia».
Per quali altri temi nei questionari c’è stata attenzione?
«Dal Terzo Mondo migrazioni e violenza nel matrimonio, ruolo della donna. E poi le guerre regionali la cui prima vittima è la famiglia. Tra i ricchi consumismo, mancanza di lavoro e problematicità tra i tempi del lavoro, quando c’è, e i tempi della famiglia. Per molti grandi Paesi dell’Africa e dell’Asia poligamia e matrimoni combinati, che i giovani non accettano più, anche se qualcuno dice che sono più stabili».
Convivenze e unioni di fatto?
«Certo e qui si apre il tema dei divorziarti risposati e la questione della Comunione. Ma questa è una questione che risulta relativa e che interessa un numero ristretto di persone”.
Eppure sembra diventato il grande tema del Sinodo. Colpa solo dei media?
«Intanto voglio premettere che è giusto che ognuno si esprima, anche i cardinali. I media fanno il loro mestiere, per questo è bene che accanto alla propria responsabilità personale di intervenire nel dibattito, si tenga conto anche delle responsabilità istituzionali”.
Ma lei vede solo un dibattito accademico oppure una partecipazione ad esso anche della base del popolo di Dio?
«Questo dibattito va avanti da decine d’anni a livello accademico. Coinvolge pochi, la gente ha altri problemi e nel merito è confusa. Il Sinodo serve anche a fare chiarezza e a spiegare come stanno le cose».
Però tra dottrina della Chiesa e comportamenti dei fedeli su matrimonio e famiglia c’è un divario, per non dire un abisso come ha detto il cardinal Walter Kasper al Concistoro.
«La teologia della Chiesa sul matrimonio è una verità ben strutturata. Ma siccome la Chiesa vive nella storia, deve avere la capacità di tradurre le grandi dottrine del deposito della fede, nella realtà della gente in un preciso momento storico. Ciò che bisogna sempre tenere presente è il rapporto unitario tra dottrina e pastorale. Questo è lo sforzo che dobbiamo fare con i Sinodi sulla famiglia».
La Chiesa doveva affrontare prima i problemi senza lasciar passare i 33 anni che ci separano dalla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II?
«Le rispondo così. Il Papa ha visto che su questo tema c’è davvero un’urgenza. Il mondo in 33 anni è molto cambiato. La Familiaris Consortio è una parola importante, una pietra miliare sulla quale sentirsi rassicurati e spesso procedere con una prassi pastorale ordinaria. Abbiamo visto in questi anni una produzione accademica nella Chiesa sulla famiglia, ma ci siamo occupati meno delle persone».
Però ogni continente è diverso e i problemi della famiglia sono legati ai luoghi e alle culture.
«Qui sta il punto. La Chiesa è universale. Il Vangelo parla a tutti e dobbiamo fare in modo che tutti lo comprendano e che non sia identificato con una sola cultura. Dunque non è la dottrina a cambiare, ma l’inculturazione del Vangelo. La Chiesa deve guardare lontano e non solo fermarsi ai confini dell’Europa o dell’Occidente ricco e in crisi. Ma queste cose le ha già scritte il Concilio Vaticano II e non si tratta di novità».
La beatificazione di Paolo VI alla fine del Sinodo serve per rafforzare il concetto?
«Sì, Montini ha condotto il Concilio a considerare il Vangelo per tutte le culture del mondo. Gesù è una persona che tutti possono seguire. Inoltre egli è il fondatore del Sinodo dei Vescovi”.
Ma Montini ha scritto anche l’Humanae vitae che è stata una pietra d’inciampo per molti cattolici nella comprensione della dottrina sul matrimonio. “Sicuramente al Sinodo se ne parlerà. Voglio premettere tuttavia che non si può ridurre l’Humanae vitae al no alla contraccezione. In quell’enciclica c’è molto di più».
Il Sinodo prenderà decisioni?
«No. Questo Sinodo serve per conoscere a fondo lo stato reale della famiglia oggi e i suoi problemi esistenziali. Al termine verrà redatto un documento, che costituirà la base di lavoro per il Sinodo del prossimo anno. Lo manderemo a tutte le conferenze episcopali insieme ad un altro questionario e chiederemo alle Conferenze episcopali di esprimersi. In questo modo si esercita la collegialità, come aiuto al Papa perché possa prendere le sue decisioni. Il dibattito resta aperto e sul tavolo metteremo proprio tutto».
Perché al Sinodo non c’è alcun esperto dell’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia?
«Il numero degli esperti è limitato, come per gli altri partecipanti, trattandosi di un Sinodo Straordinario. Per conoscere la situazione reale della famiglia nel mondo, gli esperti sono stati scelti nei cinque continenti».
Sarà un Sinodo blindato per l’informazione. Perché avete deciso di non pubblicare le sintesi degli interventi preparate dai singoli vescovi?
«Si è preferito dare enfasi ai briefing per l’immediatezza dell’informazione, considerando anche la possibilità che i padri sinodali integrino l’intervento preparato in anticipo con riflessioni del momento, che diventano più fresche e dirette. Nel lungo briefing quotidiano, che riassume gli interventi, si prevede anche eventualmente la presenza di alcuni padri sinodali. Credo che sia una formula interessante per chi darà notizie sul Sinodo».