«Le
forniture di armi verso la Siria sono aumentate del 580%
tra il 2007 e il 2011 (per circa i quattro quinti provenienti dalla
Russia), e si sono incrementate anche quelle verso i Paesi
confinanti. D'altronde, il conflitto che dura da ben due anni non
avrebbe potuto prolungarsi nel tempo se non ci fossero state
forniture ufficiali per il governo e semiclandestine per le forze
ribelli».
Non sono opinioni ma dati, quelli a cui si riferisce Maurizio
Simoncelli, vicepresidente
dell'Istituto
di ricerche internazionali "Archivio
Disarmo".
«È
opportuno evidenziare che le armi chimiche in realtà non sono
un'arma né risolutiva dei conflitti né facile da usare (per
condizioni meteorologiche, per difficoltà di centrare l'obiettivo,
per rischi connessi alla sua stessa detenzione).
Sono state, invece, proprio le armi convenzionali sinora fornite che
hanno causato le decine di migliaia di vittime siriane».
Le
conferme alle parole di Simoncelli vengono dall'Opal
di Brescia (Osservatorio
Permanente Armi Leggere) che denuncia
«l’ipocrisia
della comunità internazionale»
che, dopo due
anni
di guerra civile in Siria, discute
ora di un
intervento
militare nel Paese.
«Dovevano
essere fermate prima»,
scrive l'Opal,
«anche
le esportazioni di armi
leggere
che l’Italia -
in particolar modo dalla Provincia di Brescia -
e diversi Stati
europei
hanno
continuato a inviare nei Paesi
confinanti con la Siria. Le armi leggere sono le vere
“armi
di distruzione di massa” (come
disse
l’ex segretario generale
dell’Onu Kofi Annan),
che
hanno alimentato il conflitto».
«Se
l’impiego di armi chimiche è un crimine contro l’umanità»,
continua il documento dell'associazione,
«non
possiamo dimenticare
che finora la comunità internazionale non ha saputo nemmeno imporre
un embargo
delle forniture di armi verso la Siria».
L'Unione Europea ha continuato a inviare "materiale militare" ai ribelli
La
guerra civile siriana
ha causato
finora oltre
93 mila
morti –
tra cui 7
mila minori – e
sei milioni fra sfollati interni e rifugiati fuori dai confini,
di cui un
milione di bambini. Nonostante
ciò - sottolinea l'Opal - anche
l’Unione Europea che pure ha stabilito
alcune misure di embargo di armi già dal maggio 2011,
ha continuato a permettere l’invio di
“materiali militari non letali” alla Coalizione nazionale
siriana delle forze dell’opposizione e
della rivoluzione,
e nel maggio scorso ha allentato le
misure dell'embargo
sulle armi
verso la Siria.
«È
positivo»,
commenta Piergiulio Biatta, presidente di Opal,
«che
il ministro degli Esteri, Emma
Bonino, abbia dichiarato che
l’Italia non prenderà parte a interventi militari al di fuori
di un mandato del Consiglio di sicurezza
dell’Onu e che occorre invece adoperarsi per una
soluzione politica del conflitto. Ma non
si può non ricordare quanto è successo nel caso
della Libia, dove l’intervento
militare è andato ben oltre i termini della risoluzione dell’Onu
che chiedeva
di stabilire una no fly zone e
imponeva l’embargo di armi».
Se
l’Unione Europea ha posto già dal maggio 2011 l’embargo
sull’invio delle cosiddette “armi
leggere” (fucili, mitragliatori,
pistole,
ecc.) alla Siria, le forniture di queste armi ai Paesi
confinanti sono invece aumentate proprio
nel 2011. Lo spiega Giorgio Beretta, analista dell'organizzazione
bresciana. «Tranne quelle verso la
Giordania e il
Libano, le esportazioni dei Paesi
dell’UE
di fucili, carabine, pistole e mitragliatrici
sia automatiche che semiautomatiche
verso le nazioni confinanti con la Siria sono
raddoppiate o addirittura triplicate tra
il 2010 e il 2011. Lo documentano i rapporti
ufficiali dell’Unione Europea: la
Turchia è passata dai poco più di 2,1 milioni di euro di
importazioni di armi leggere europee del
2010 agli oltre 7,3 del 2011; Israele da 6,6
milioni di euro a oltre 11,
e addirittura l’Iraq da meno di
3,9 milioni di euro del
2010 a quasi 15 milioni nel 2011».
Il
rapporto europeo relativo
alle esportazioni del 2012
non è stato ancora pubblicato, aggiunge
Beretta, ma diverse relazioni nazionali
degli Stati
membri confermano
l’incremento delle esportazioni di queste armi verso i Paesi
intorno alla Siria.
Per
quel che riguarda l'Italia, l’Osservatorio Opal
rileva una strana – «e
alquanto sospetta»,
scrive – anomalia nei dati che
riguardano le forniture di armi leggere ai Paesi
confinanti con la Siria. Secondo i
Rapporti ufficiali dell’UE
non vi sarebbe stata alcuna
autorizzazione all’esportazione di armi leggere verso questi Paesi
nel biennio
2010-2011. Ma un attento esame dei dati resi disponibili dall’Istat
riguardo alle esportazioni
di “armi e munizioni” evidenzia le crescenti esportazioni di
queste armi dalla provincia di Brescia
proprio verso gli
Stati del Paese
in guerra civile.
Le armi italiane a Giordania, Israele, Turchia. Pure al Libano, sotto embargo
Passando
infatti in rassegna le tabelle Istat,
si nota che dalla Provincia
di Brescia sono state esportate “armi e munizioni” (nel
triennio 2010-2012)
verso Cipro per un valore complessivo di oltre 3,2 milioni di euro,
verso la Giordania per quasi 4 milioni,
verso Israele per oltre 6,8 milioni,
verso la
Turchia per oltre 79,4,
e addirittura verso il Libano (tuttora sottoposto a
misure di embargo di armi) per oltre 2,3
milioni di euro.
«A
meno che non si voglia credere che tutte queste armi siano per
lo sport, la caccia o
la difesa personale»,
commenta Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal,
«dovrebbero
in qualche modo figurare nelle relazioni dell’Unione Europea. La
normativa comunitaria,
infatti, richiede che tutte le esportazioni di armi automatiche e
semiautomatiche e relativo
munizionamento destinate non solo ai militari ma anche a corpi di
polizia e forze di sicurezza
vengano puntualmente comunicate dagli Stati
membri. È quanto mai grave che l’Italia
– che è uno dei maggiori produttori mondiali di queste armi –
continui a comunicare all’UE
cifre che non trovano riscontro né nelle relazioni governative
inviate al
Parlamento
né nei dati sulle esportazioni di armi forniti dall’Istat».
L’Osservatorio
dell'Opal
nei prossimi giorni solleciterà un’interrogazione parlamentare al
Ministro degli Esteri, diretto
responsabile sia delle autorizzazioni all’esportazione di
armi sia delle comunicazioni con
l’Unione Europea, chiedendo di spiegare queste anomalie.
Anche perché questi dati contraddicono - sottolineano le
associazioni pacifiste - quanto gli
stessi Paesi membri hanno sottoscritto nel documento “Norme
comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e
attrezzature militari”con la
"Posizione comune", nel quale si erano impegnati a
“impedire l’esportazione di
tecnologia e attrezzature militari
che possano essere utilizzate per la repressione interna o
l’aggressione internazionale o
contribuire all’instabilità
regionale”,
e in particolare a “rifiutare le licenze di
esportazione qualora esista un rischio
evidente che la tecnologia o le attrezzature militari
da esportare possano essere utilizzate a
fini di repressione interna”.
«Queste
esportazioni di armi leggere»,
conclude Francesco
Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo,
«evidenziano
che gli Stati
dell’UE sono ancora lontani dall’applicare le norme che di
comune accordo hanno deciso di adottare
per promuovere la pace e la sicurezza. Come hanno
dimostrato i casi della forniture di
armi alla Libia, all’Egitto e oggi alla Siria, la mancata
osservanza delle normative comunitarie
sull’export di armi finisce con l’alimentare tensioni e
conflitti col conseguente carico di
vittime e di profughi».