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giovedì 19 settembre 2024
 
 

Siria, anche con le nostre armi...

08/09/2013  Dati alla mano, le associazioni Archivio Disarmo, Opal e Rete Italiana Disarmo rivelano una serie di fatti sconcertanti: dal 2011 a oggi molti Paesi dell'Unione Europea hanno ininterrottamente inviato forniture belliche a tutti i Paesi dell'area siriana. Proprio quelle armi leggere che sono le prime responsabili delle 93 mila vittime del conflitto.

«Le forniture di armi verso la Siria sono aumentate del 580% tra il 2007 e il 2011 (per circa i quattro quinti provenienti dalla Russia), e si sono incrementate anche quelle verso i Paesi confinanti. D'altronde, il conflitto che dura da ben due anni non avrebbe potuto prolungarsi nel tempo se non ci fossero state forniture ufficiali per il governo e semiclandestine per le forze ribelli». Non sono opinioni ma dati, quelli a cui si riferisce Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell'Istituto di ricerche internazionali "Archivio Disarmo".

«È opportuno evidenziare che le armi chimiche in realtà non sono un'arma né risolutiva dei conflitti né facile da usare (per condizioni meteorologiche, per difficoltà di centrare l'obiettivo, per rischi connessi alla sua stessa detenzione). Sono state, invece, proprio le armi convenzionali sinora fornite che hanno causato le decine di migliaia di vittime siriane».

Le conferme alle parole di Simoncelli vengono dall'Opal di Brescia (Osservatorio Permanente Armi Leggere) che denuncia «l’ipocrisia della comunità internazionale» che, dopo due anni di guerra civile in Siria, discute ora di un intervento militare nel Paese. «Dovevano essere fermate prima», scrive l'Opal, «anche le esportazioni di armi leggere che l’Italia - in particolar modo dalla Provincia di Brescia - e diversi Stati europei hanno continuato a inviare nei Paesi confinanti con la Siria. Le armi leggere sono le vere “armi di distruzione di massa” (come disse l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan), che hanno alimentato il conflitto». «Se l’impiego di armi chimiche è un crimine contro l’umanità», continua il documento dell'associazione, «non possiamo dimenticare che finora la comunità internazionale non ha saputo nemmeno imporre un embargo delle forniture di armi verso la Siria».

L'Unione Europea ha continuato a inviare "materiale militare" ai ribelli

La guerra civile siriana ha causato finora oltre 93 mila morti – tra cui 7 mila minori – e sei milioni fra sfollati interni e rifugiati fuori dai confini, di cui un milione di bambini. Nonostante ciò - sottolinea l'Opal - anche l’Unione Europea che pure ha stabilito alcune misure di embargo di armi già dal maggio 2011, ha continuato a permettere l’invio di “materiali militari non letali” alla Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione, e nel maggio scorso ha allentato le misure dell'embargo sulle armi verso la Siria.

«È positivo», commenta Piergiulio Biatta, presidente di Opal, «che il ministro degli Esteri, Emma Bonino, abbia dichiarato che l’Italia non prenderà parte a interventi militari al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu e che occorre invece adoperarsi per una soluzione politica del conflitto. Ma non si può non ricordare quanto è successo nel caso della Libia, dove l’intervento militare è andato ben oltre i termini della risoluzione dell’Onu che chiedeva di stabilire una no fly zone e imponeva l’embargo di armi».

Se l’Unione Europea ha posto già dal maggio 2011 l’embargo sull’invio delle cosiddette “armi leggere” (fucili, mitragliatori, pistole, ecc.) alla Siria, le forniture di queste armi ai Paesi confinanti sono invece aumentate proprio nel 2011. Lo spiega Giorgio Beretta, analista dell'organizzazione bresciana. «Tranne quelle verso la Giordania e il Libano, le esportazioni dei Paesi dell’UE di fucili, carabine, pistole e mitragliatrici sia automatiche che semiautomatiche verso le nazioni confinanti con la Siria sono raddoppiate o addirittura triplicate tra il 2010 e il 2011. Lo documentano i rapporti ufficiali dell’Unione Europea: la Turchia è passata dai poco più di 2,1 milioni di euro di importazioni di armi leggere europee del 2010 agli oltre 7,3 del 2011; Israele da 6,6 milioni di euro a oltre 11, e addirittura l’Iraq da meno di 3,9 milioni di euro del 2010 a quasi 15 milioni nel 2011».

Il rapporto europeo relativo alle esportazioni del 2012 non è stato ancora pubblicato, aggiunge Beretta, ma diverse relazioni nazionali degli Stati membri confermano l’incremento delle esportazioni di queste armi verso i Paesi intorno alla Siria. Per quel che riguarda l'Italia, l’Osservatorio Opal rileva una strana – «e alquanto sospetta», scrive – anomalia nei dati che riguardano le forniture di armi leggere ai Paesi confinanti con la Siria. Secondo i Rapporti ufficiali dell’UE non vi sarebbe stata alcuna autorizzazione all’esportazione di armi leggere verso questi Paesi nel biennio 2010-2011. Ma un attento esame dei dati resi disponibili dall’Istat riguardo alle esportazioni di “armi e munizioni” evidenzia le crescenti esportazioni di queste armi dalla provincia di Brescia proprio verso gli Stati del Paese in guerra civile.

Le armi italiane a Giordania, Israele, Turchia. Pure al Libano, sotto embargo

  

Passando infatti in rassegna le tabelle Istat, si nota che dalla Provincia di Brescia sono state esportate “armi e munizioni” (nel triennio 2010-2012) verso Cipro per un valore complessivo di oltre 3,2 milioni di euro, verso la Giordania per quasi 4 milioni, verso Israele per oltre 6,8 milioni, verso la Turchia per oltre 79,4, e addirittura verso il Libano (tuttora sottoposto a misure di embargo di armi) per oltre 2,3 milioni di euro.

«A meno che non si voglia credere che tutte queste armi siano per lo sport, la caccia o la difesa personale», commenta Carlo Tombola, coordinatore scientifico di Opal, «dovrebbero in qualche modo figurare nelle relazioni dell’Unione Europea. La normativa comunitaria, infatti, richiede che tutte le esportazioni di armi automatiche e semiautomatiche e relativo munizionamento destinate non solo ai militari ma anche a corpi di polizia e forze di sicurezza vengano puntualmente comunicate dagli Stati membri. È quanto mai grave che l’Italia – che è uno dei maggiori produttori mondiali di queste armi – continui a comunicare all’UE cifre che non trovano riscontro né nelle relazioni governative inviate al Parlamento né nei dati sulle esportazioni di armi forniti dall’Istat».

L’Osservatorio dell'Opal nei prossimi giorni solleciterà un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri, diretto responsabile sia delle autorizzazioni all’esportazione di armi sia delle comunicazioni con l’Unione Europea, chiedendo di spiegare queste anomalie. Anche perché questi dati contraddicono - sottolineano le associazioni pacifiste - quanto gli stessi Paesi membri hanno sottoscritto nel documento “Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”con la "Posizione comune", nel quale si erano impegnati a “impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale”, e in particolare a “rifiutare le licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.

«Queste esportazioni di armi leggere», conclude Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, «evidenziano che gli Stati dell’UE sono ancora lontani dall’applicare le norme che di comune accordo hanno deciso di adottare per promuovere la pace e la sicurezza. Come hanno dimostrato i casi della forniture di armi alla Libia, all’Egitto e oggi alla Siria, la mancata osservanza delle normative comunitarie sull’export di armi finisce con l’alimentare tensioni e conflitti col conseguente carico di vittime e di profughi».

 
 
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