«Voglio lanciare un appello a papa Francesco». Suor Yola Girges, oltre a essere una delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria che lavorano nella casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale delle Conversione di San Paolo, a Damasco, è anche la responsabile dell’Unione delle religiose della capitale, che raduna appunto un centinaio di religiose. Damascena per nascita, suor Yola è pero originaria di una famiglia di Ghassaniyeh, uno dei villaggi cristiani del Nord, nella provincia di Idlib, diventata l’ultimo caposaldo dei terroristi dell’Isis e di Al Nusrah. A Ghassaniyeh, tra l’altro, nel 2013 gli islamisti assassinarono il sacerdote siro-cattolico Francois Mourad.
Al telefono la voce di suor Yola risuona ora molto più serena di quanto fosse nelle scorse settimane, quando si sono succeduti i bombardamenti di missili e razzi da parte degli insorti sui quartieri civili di Damasco, l’attacco dell’esercito di Bashar al-Assad sulla Ghouta, le polemiche internazionali sulle armi chimiche e le incursioni aeree di Usa, Francia e Regno Unito. Forse anche per questo è giunta l’ora dell’appello.
«Sì», ripete la suora, «voglio fare questo appello al Papa. Affinché riceva in udienza una delegazione di religiose e religiosi che hanno lavorato in Siria in questi sette tremendi anni di guerra. Non necessariamente siriani come me, ma anche stranieri, purché siano stati qui con una certa continuità e quindi possano testimoniare che cosa è successo e ancora succede alla gente tutta di questo Paese, e anche ai cristiani».
Perché questo appello? Papa Francesco prega per la Siria e interviene spesso per la causa della pace…
«Il Papa ci è sempre stato vicino, lo sappiamo bene. Tutti noi ricordiamo il suo monito, nel 2013, durante l’Angelus, quando sembrava che gli Stati Uniti stessero per lanciare un attacco come quello contro l’Iraq del 2003: “Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza”. Gli siamo grati, tutti i cristiani di Siria gli vogliono bene perché lo sentono come un fratello affettuoso. E sappiamo che è sempre molto ben informato su quanto accade al nostro povero Paese. Ma abbiamo bisogno di averlo accanto a noi fino alla fine di questa guerra. Vogliamo quindi trasmettergli i nostri sentimenti e anche le nostre esperienze, quello che abbiamo registrato con gli occhi e con il cuore mescolandoci di giorno in giorno con i fedeli e con la gente comune, quella che più soffre per decisioni prese in luoghi lontani, dove nulla o quasi si sa delle nostre sofferenze e delle nostre speranze».
Qual è il più grande timore dei cristiani di Siria?
«Che il mondo, e in particolare l’Europa, non abbia imparato nulla da quanto è avvenuto in Iraq dopo il 2003. In quel Paese la presenza cristiana è ormai ridotta ai minimi termini, proprio a causa di progetti politici che nulla hanno a che vedere con le realtà del Medio Oriente».
E il vostro sogno?
«Avere papa Francesco qui, in Siria, tra noi. È una delle speranze che ci fanno affrontare tante tragedie e difficoltà con animo più forte e sicuro».
(Foto in alto: Reuters)